270203 - Lastra a Tancredi Galimberti “Duccio” – Canale (CN)

Lastra dedicata all’avvocato Tancredi Galimberti  “Duccio”, antifascista e partigiano, eminente membro del Partito d’Azione e comandante di tutte le formazioni “Giustizia e Libertà” del Piemonte, trucidato dai fascisti in località Tetto Croce, alla periferia di Cuneo, il 3 (o 4) Dicembre 1944. Dopo essere rimasto ferito durante uno scontro avvenuto contro truppe tedesche il 13 Gennaio 1944 a San Michele Valgrana (Cn), Galimberti trovò rifugio e cure proprio a Canale. La lastra, apposta sulla parete esterna del Municipio alla sinistra dell’ingresso principale, è rettangolare, di marmo e sostenuta da quattro punzoni piramidali in metallo argentato. L’epigrafe reca incisi il nome del Caduto, l’Ente promotore, ovvero il Comitato provinciale per il 50° della Liberazione e la data di posa. I caratteri sono stati rivestiti da vernice di colore nero.

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Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Indirizzo:
Piazza Italia n. 18, Municipio
CAP:
12043
Latitudine:
44.79718341324
Longitudine:
7.9912723736107

Informazioni

Luogo di collocazione:
Parete esterna del Municipio, accanto all'ingresso principale.
Data di collocazione:
25 Aprile 1994
Materiali (Generico):
Marmo, Altro
Materiali (Dettaglio):
Marmo per la lastra. Metallo argentato per i quattro punzoni di sostegno. Vernice di colore nero a riempimento dei caratteri dell’epigrafe.
Stato di conservazione:
Ottimo
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Canale
Notizie e contestualizzazione storica:
Per l’importanza rivestita dalla figura di “Duccio” Galimberti, tra le tante biografie che si trovano in rete o in pubblicazioni scritte, in virtù del suo rigore scientifico, ho preferito utilizzare quella tratta dal “Dizionario Biografico degli Italiani” (Volume V, 1998) disponibile in rete sul sito dell’Enciclopedia Treccani (https://www.treccani.it/enciclopedia/tancredi-galimberti_(Dizionario-Biografico)/). Miei sono alcuni tagli e piccole variazioni del testo. Per alleggerirlo ulteriormente mi sono limitato a citare solo le fonti delle citazioni presenti in originale nel testo.

Tancredi Achille Giuseppe Olimpio Galimberti (“Duccio”) nacque a Cuneo il 30 Aprile 1906 da Lorenzo Tancredi, avvocato, politico, parlamentare e ministro e da Alice Schanzer, studiosa di letteratura inglese, poligrafa e sorella di Carlo, anch'egli deputato e ministro. L'ambiente familiare ebbe grande influenza nella formazione culturale di Galimberti, che ereditò dal padre la predilezione per gli studi giuridici e dalla madre la passione per la letteratura e le simpatie mazziniane.
Dopo aver conseguito, a soli sedici anni, la maturità presso il Liceo “Silvio Pellico”, iniziò a collaborare al giornale paterno “La Sentinella delle Alpi” e nel 1924 scrisse il saggio “Mazzini politico” (pubblicato postumo a Milano nel 1963). In esso Galimberti analizzava i valori fondamentali della dottrina politica mazziniana, non mancando di cogliere elementi di incertezza e di utopia nella concezione che Mazzini aveva dello Stato. Il 17 Luglio 1926 si laureò in giurisprudenza a Torino discutendo una tesi su “La pericolosità come base della sanzione penale”. Nello stesso anno prestò servizio militare come soldato semplice e fu poi richiamato nel 1935 e nel 1939 con il grado di caporalmaggiore presso il Battaglione "Dronero" del 2° Reggimento Alpini. Nel 1934 effettuò un viaggio in Russia e al ritorno tenne diverse conferenze sulla situazione di quel paese.
Galimberti fece pratica presso lo studio paterno, dedicandosi particolarmente alle cause penali, ma non trascurò l'attività scientifica, sviluppando i suoi studi sul tema della pericolosità. Scrisse diversi saggi, tra cui “Funzione e disciplina della pericolosità”(in “Studi teorico-pratici sulla nuova legislazione italiana”, Bologna 1932) e fu incaricato di redigere la voce “Pericolosità sociale e criminale” dell'”Enciclopedia giuridica italiana” (XIII, 1937), mentre la raccolta dei suoi scritti di diritto e di procedura penale diede corpo ai “Quesiti d'udienza” (I-II, Milano 1943). Nel 1939, alla morte del padre, Galimberti decise di impegnarsi senza remore nella lotta al fascismo.
Fino ad allora, pur avendo rifiutato l'iscrizione al Partito fascista, egli si era infatti astenuto da ogni iniziativa che sarebbe apparsa come una clamorosa contestazione nei confronti del padre, sostenitore del regime. Verso la fine del 1940 Galimberti compì alcuni viaggi a Roma, dove incontrò Meuccio Ruini e altri esponenti della politica prefascista, a Genova e a Torino. A Galimberti premeva soprattutto stabilire uno stretto rapporto con gli ambienti antifascisti torinesi e ritrovarsi con quelle persone che, a prescindere dal credo politico, fossero decise a combattere il regime. Non aveva compiuto ancora una precisa scelta politica, ma anche dopo aver aderito nel 1942 al movimento “Giustizia e Libertà”, restò convinto che la pregiudiziale antifascista dovesse prevalere sulle divisioni ideologiche.
Una volta inseritosi nell'organizzazione giellista, Galimberti ritenne di possedere finalmente l'investitura per iniziare l'opera di proselitismo tra gli antifascisti di Cuneo. Prima convocò presso la propria abitazione una serie di riunioni serali, alle quali invitava gli amici più fidati, poi ampliò il raggio d'azione dell'attività cospirativa, rivolgendosi a professionisti, impiegati, insegnanti, studenti e anche militari. Agli inizi del 1943 si era così raccolto intorno a Galimberti il primo nucleo cuneese del Partito d'azione. Egli si riconosceva appieno nella pregiudiziale repubblicana e nel progetto di una democrazia avanzata sul piano civile ed economico, affermati dal Partito d'Azione, sebbene la sua collocazione in questo partito non fosse riconducibile ad alcuna delle correnti politico-ideali che vi erano confluite. L'originalità dell'azionismo di Galimberti. risultò evidente nel “Progetto di costituzione confederale europea ed interna” da lui elaborato insieme con Antonino Repaci tra l'autunno del 1942 e il Luglio 1943 (ma pubblicato nel 1946).
Questo progetto, caratterizzato da una forte carica europeistica, si rivelava in molti passaggi qualificanti "assai remoto dalle posizioni del Partito d'Azione, sia dei "sette" e sia dei "sedici punti", ovvero da entrambe le sue "anime": quella liberistica o al più dirigistica di Ugo La Malfa, Ferruccio Parri, Paggi e la socialista di Emilio Lussu, Ernesto De Martino, Ernesto Codignola" (A.A. Mola, “Tancredi Galimberti Jr. ” in “Il Parlamento italiano, Storia parlamentare e politica”, XII, 2 p. 283). Si trattava, inoltre, di un progetto gravido di ingenuità e utopia (contemplava, tra l'altro, la creazione di una lingua internazionale da insegnare nelle scuole e il divieto di costituire eserciti nazionali) e ispirato a una rigida concezione corporativa e sociale dello Stato.
Nel Marzo 1943 Galimberti diffuse, dattiloscritto, un “Appello agli Italiani”, redatto in collaborazione con Lino Marchisio, nel quale si stigmatizzavano le tendenze particolaristiche dei partiti e si insisteva sulla necessità di unire tutte le forze dell'antifascismo. Il 26 Luglio 1943, parlando alla folla radunata sotto la finestra del suo studio in Piazza Vittorio Emanuele (ora a lui dedicata) al termine di una manifestazione di esultanza per la caduta di Mussolini, Galimberti affermò che bisognava subito rompere l'alleanza con la Germania e prepararsi all'insurrezione armata contro i tedeschi.
Poche ore dopo ribadì le stesse cose nel corso di un comizio in Piazza Castello a Torino e per queste due sortite l'autorità militare spiccò nei suoi confronti un mandato di cattura, che venne revocato tre settimane più tardi. In Agosto Galimberti prese contatto con il comandante del Reggimento alpino di stanza a Cuneo e all'indomani dell'8 Settembre 1943 intensificò gli sforzi per coinvolgere reparti dell'esercito nell'organizzazione di resistenza. Più che a dar vita a un movimento partigiano Galimberti pensava infatti a tenere in piedi l'esercito, che avrebbe dovuto arruolare volontari civili disposti a prendere le armi contro i tedeschi. Dopo aver invano richiesto per due volte, il 9 e il 10 Settembre, al generale comandante della zona di Cuneo di procedere all'arruolamento volontario del gruppo azionista nei reparti alpini, Galimberti e i suoi amici "decisero di attuare il progetto sino allora perseguito solo in via eventuale, della creazione delle bande e della resistenza armata irregolare. Scelta questa soluzione, essi tornarono alla carica presso i Comandi militari e gli ufficiali di grado elevato per sollecitarne la collaborazione nella raccolta delle armi e l'assunzione del comando del gruppo che si apprestava a raggiungere la montagna" (Mario Giovana, “Resistenza nel Cuneese. Storia di una formazione partigiana”, Torino 1964, p. 26). Risultati vani anche questi tentativi, gli antifascisti cuneesi decisero di abbandonare le città per dirigersi sulle montagne circostanti.
La notte del 12 Settembre Galimberti, Dante Livio Bianco e altri dieci suoi compagni raggiunsero la cappella di Madonna del Colletto, a Valdieri (Cn), tra la Valle del Gesso e quella della Stura, dove costituirono la prima Banda partigiana, denominata "Italia libera" (il medesimo nome venne assunto dall'altra formazione che si costituì contemporaneamente a Frise di Monterosso Grana con Giorgio Bocca e Benedetto Dalmastro).
Venne subito affrontato il problema dell'efficienza bellica, che riguardava sia l'utilizzazione migliore di armi e munizioni, in gran parte sottratte alle caserme, sia la necessità di una disciplina militare. I partigiani di "Italia libera" furono concordi nel rifiutare quelle forme coercitive e gerarchiche invalse negli eserciti e preferirono rifarsi alle esperienze del volontariato risorgimentale mazziniano e garibaldino, "delineando così nei suoi contorni quel costume partigiano dei giellisti cuneesi […] peculiare delle formazioni sorte in quel tratto di arco alpino per volontà della pattuglia di azionisti capeggiata da Galimberti" (M. Giovana, “Resistenza nel Cuneese. Storia di una formazione partigiana”, p. 31).
Dopo essersi trasferito con il suo gruppo a San Matteo di Valgrana Galimberti si impegnò nell'opera di collegamento e di unificazione tra le varie Bande che portò alla nascita delle Brigate di “Giustizia e Libertà” nel Cuneese.
"La guerra partigiana, per Galimberti e i suoi compagni, aveva il duplice compito di scompaginare con azioni aggressive i depositi nemici in pianura, demoralizzarne le truppe, creare un permanente stato d'allarme fra di esse, e impegnare quante più forze dell'avversario fosse possibile nella zona, distraendole dai fronti di guerra. Perciò doveva far perno su organismi agili, capaci di proiettare in pianura punte d'attacco ardite e fulminanti, ma anche di articolare nelle valli forze che apparissero come minaccia costante alla sicurezza dei centri della provincia occupati dai nazifascisti e fossero in grado, se attaccate, di sviluppare un discreto volume di fuoco per un tempo relativamente lungo, così da infliggere al nemico il massimo di perdite e di logorio" (M. Giovana “Resistenza nel Cuneese. Storia di una formazione partigiana” p. 37).
Il 13 Gennaio 1944, nel corso di un attacco dei tedeschi alla posizione di San Matteo, Galimberti rimase ferito alla caviglia, ma non volle abbandonare i compagni prima della fine degli scontri. Fu poi trasportato su una rozza barella in pianura e accompagnato per vie sicure in casa di un agricoltore a Canale (Cn). Qui trascorse un periodo di convalescenza, durante il quale elaborò il “Progetto di riforma agraria” (apparso in “Il Ponte”, anno XV, 1959, pp. 1549-1556).
In questo suo scritto Galimberti sosteneva l'opportunità di limitare la proprietà privata a beneficio di forme di proprietà pubblica nell'ambito di una programmazione agricola gestita da organismi comunali.
Appena guarito Galimberti, di cui erano ormai conosciute le doti di coraggio e l'autorevolezza, fu chiamato ad assumere il Comando di tutte le formazioni gielliste del Piemonte e a far parte del Comitato militare regionale piemontese. Il 5Aprile 1944 - dopo la cattura e la fucilazione del generale Giuseppe Perotti e di quasi tutti gli altri membri del primo Comitato militare - toccò a “Duccio” assumere provvisoriamente la carica di comandante per la Valle d'Aosta, il Canavese e il Cuneese orientale. Rimasto nel Comitato in rappresentanza del Partito d'Azione, il 22 Maggio guidò la delegazione del Comitato di Liberazione Nazionale piemontese che si incontrò a Barcellonette (Francia) con quella dei “maquisards”, i partigiani francesi, per stabilire un'intesa tra i due movimenti di resistenza.
Animato da spirito europeista, Galimberti desiderava riallacciare fraterni rapporti con la Francia per cancellare l'onta dell'aggressione fascista, ma fu molto fermo nel far presente ai suoi interlocutori che le responsabilità del regime di Mussolini non potevano essere estese all'intero popolo italiano. Preoccupato di "salvare la dignità dell'Italia senza cadere nel patriottardismo" ( A. Ruata, “Ricordi di Duccio Galimberti”, in “Il Ponte”, anno X,1954 p. 1889), riuscì a evitare che si creassero attriti sulla questione della Valle d'Aosta e a far affermare negli accordi finali l'identità d'intenti nella lotta al nazismo e per l'avvento delle libertà democratiche.
Rientrato in Italia, Galimberti fu di nuovo preso dai suoi compiti di comando e proseguì nell'instancabile opera di collegamento, viaggiando con ogni mezzo. Benché usasse molte precauzioni, cambiando abitazione e assumendo diversi nomi di copertura (“Garnero”, “Ferrero”, “Dario”, “Leone”), si trovò esposto a sempre maggiori rischi e gli venne pertanto consigliato di allontanarsi dal Piemonte per andare a ricoprire un incarico di responsabilità a livello nazionale.
“Duccio” non aderì all'invito e il 28 Novembre 1944, a Torino, cadde nelle mani della polizia e fu rinchiuso nelle Carceri Nuove, prima di essere trasferito, il 2 Dicembre successivo, a Cuneo. Qui venne preso in consegna dalle Brigate Nere, che lo sottoposero a tortura, mentre ogni tentativo di ottenere la sua liberazione attraverso lo scambio di prigionieri fu respinto dai fascisti.
All'alba del 3 Dicembre1944 (o il 4 Dicembre da altre fonti, NdS) Galimberti venne prelevato per essere condotto nei pressi della frazione Tetti Croce di Cuneo, in località San Benigno, dove venne ucciso a raffiche di mitra e la sua salma abbandonata ( sul luogo sarà poi eretto un semplice cippo, NdS).
Alla memoria di “Duccio” fu assegnata la medaglia d'Oro al Valor Militare quale "altissimo esempio di virtù militari, politiche e civili". Nel 1948 gli venne conferita la Legion d'onore per il contributo dato all'intesa tra i movimenti di liberazione francese e italiano.
Riposa, con i familiari, in una cappella del Santuario degli Angeli, a Cuneo.
Le carte di Galimberti sono conservate presso l'Archivio della casa-museo Galimberti di Cuneo, il cui inventario è stato curato da Emma Mana e pubblicati in “Archivio Galimberti”, Roma 1992; altri documenti e testimonianze sull'attività di Galimberti nell'antifascismo e nella Resistenza sono depositati a Cuneo presso l'Istituto per la storia della Resistenza in Cuneo e provincia.

Contenuti

Iscrizioni:
COMITATO PROVINCIALE PER IL
CINQUANTENNIO DELLA LIBERAZIONE

MEMORE E GRATA LA RESISTENZA CUNEESE
NEL 50° ANNIVERSARIO AFFIDA ALLA STORIA
L’OSPITALITA’ CHE I CANALESI OFFRIRONO
ALL’EROE NAZIONALE DUCCIO GALIMBERTI
FERITO IN COMBATTIMENTO
NEL GENNAIO 1944
CANALE 25 APRILE 1994
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