6473 - Cippo a ricordo della Liberazione di Gattaia di Vicchio

Di fronte alla bottega sul muro lungo la strada “Panoramica”,  dal 6/3/1964  si trova una lapide commemorativa della Liberazione di Vicchio del 6 Marzo 1944. Gattaia, con i suoi casolari sparsi nei boschi dell’Appennino,  fu un importante centro della Resistenza nel comune di Vicchio. Da qui partì l’operazione di liberazione del paese, avvenuta il 6 marzo 1944, prima che i fascisti lo riconquistassero una settimana più tardi. La lapide marmorea ricorda, nel ventennale dell’evento, la liberazione di Vicchio di Mugello, avvenuta il 6 marzo 1944. La piccola targa in ottone sovrapposta commemora Ottorino Quiti e Adriano Santoni,  i due giovani ventenni abitanti di Gattaia che furono fucilati  al Campo di Marte una decina di giorni dopo, insieme a altri tre ragazzi arrestati nella zona, accusati di renitenza alla leva repubblicana fascista.

NOTA STAFF PIETRE: Cippo censito dalle scuole Scuola Media Desiderio da Settignano, Media Giovanni della Casa e I.C. Galileo Chini nell’ambito del concorso Esploratori della Memoria

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Gattaia
Indirizzo:
Località Gattaia
CAP:
50039
Latitudine:
43.9887619
Longitudine:
11.470217100000013

Informazioni

Luogo di collocazione:
Lato strada
Data di collocazione:
06/03/1964
Materiali (Generico):
Marmo, Ottone
Materiali (Dettaglio):
Lapide rettangolare in marmo con piccola targa in ottone; gancio per la corona in ferro. La lapide è affissa su un muro in pietra appositamente predisposto.
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Vicchio
Notizie e contestualizzazione storica:
Mentre sul Monte Giovi i primi nuclei partigiani si formano fin dal settembre 1943, sul versante appenninico essi si insediano nei primi di gennaio del 1944. La zona sovrastante Gattaia, con un'unica carrozzabile proveniente da Vicchio che terminava nel paese, ben si prestava alla collocazione di un distaccamento di partigiani che potesse attuare azioni di disturbo anche lungo la ferrovia Faentina.
Notizie utili si possono ricavare da diversi libri che si occupano della lotta di Liberazione in Mugello.
Segnaliamo tra gli altri: Fernando Gattini, (1995).

La lapide in marmo commemora, nel ventennale della ricorrenza, la liberazione di Vicchio di Mugello avvenuta il 6 marzo 1944. Il 21 marzo 1944, a soli quindici giorni dall’evento, furono arrestati nella zona una decina di ventenni, accusati di renitenza alla leva repubblicana fascista. Sette di loro furono condannati a morte, tra loro due furono graziati e arruolati. I cinque ragazzi furono fucilati dai soldati della Repubblica Sociale Italiana al Campo di Marte a Firenze il 22 marzo 1944. Fra loro vi erano due giovani di Gattaia, Ottorino Quiti e Santoni Adriano: la loro drammatica vicenda è ricordata nella piccola targa di ottone, apposta sopra la lapide in marmo.
I nomi dei cinque Martiri del Campo di Marte sono:
ANTONIO RADDI , 20 anni, Vicchio di Mugello;
TARGETTI GUIDO, 21, Vicchio di Mugello;
CORONA LEANDRO, 20 anni, Maracalagonis (Cagliari);
QUITI OTTORINO, 22 anni, Gattaia di Vicchio di Mugello;
SANTONI ADRIANO, 20 anni, Gattaia di Vicchio di Mugello;
La loro fucilazione fu una delle vicende più drammatiche del periodo della Resistenza e colpì in modo profondo la popolazione del Mugello.

Contenuti

Iscrizioni:
(lapide in marmo)
DA GATTAIA
FIN DALL'INIZIO
BASE PARTIGIANA
DOVE UNITI COMBATTERONO
IL TRADITORE FASCISTA
E L'INVASORE NAZISTA
PARTIGIANI E POPOLO
IL 6 MARZO 1944
UNENDO LE LORO FORZE
CON I PARTIGIANI DEL MONTE GIOVI
SCESERO A LIBERARE
DOPO ASPRA BATTAGLIA
VICCHIO DI MUGELLO.
NEL VENTENNALE
DELLA RICORRENZA
A RICORDO E ONORE
DI COLORO
CHE VI PARTECIPARONO

(targa in ottone posta sulla lapide di marmo)
OTTORINO QUITI N. 8.9.1921
ADRIANO SANTONI N. 11.7.1923
DEL POPOLO DI GATTAIA
FUCILATI DAI NAZI-FASCISTI
AL CAMPO DI MARTE DI FIRENZE
IL 22.3.1944
IL LORO SACRIFICIO SIA DI AMMONIMENTO
CONTRO OGNI VIOLENZA E BARBARIE.
Simboli:
Non sono presenti simboli

Altro

Osservazioni personali:
NOTA STAFF PIETRE: Cippo censito dalle scuole Scuola Media Desiderio da Settignano, Media Giovanni della Casa e I.C. Galileo Chini nell'ambito del concorso Esploratori della Memoria

Per restituire a chi legge la tragicità dell'evento dei Martiri del Campo di Marte, riportiamo per intero la relazione del Tenente Cappellano Militare e dei Patrioti don Angelo Beccherle, che fu vicino ai giovani nel loro ultimo giorno (dalla copia dell'originale trasmesso alla Segreteria Stato del Vaticano e al C.L.N sui particolari della fucilazione):
"La mattina del 21 di marzo 1944 seppi che erano stati condannati a morte sette renitenti alla leva repubblicana fascista. Già il giorno prima seguivo attentamente lo svolgersi del processo ma non ero riuscito ancora a conoscere la sentenza. Ero assai turbato e mi offrii di assisterli. Verso la sera del 21 marzo mi recai a San Gallo e dalla Superiora ebbi cognac, caffè, anice e sigarette, carta da scrivere. Alcuni ufficiali che sapevano del doloroso incarico diedero pure delle sigarette per i condannati. Arrivati in macchina con l'Altarino da campo al carcere delle Murate, lo stesso comandante del carcere, maresciallo Mangiacapra, ci introdusse nel suo ufficio, dove poco dopo venne il direttore delle carceri dott. G.B. Mazzarino; qui appresi la prima vera storia dei non più sette, ma cinque condannati a morte, essendo due stati graziati. I nomi dei condannati a morte sono i seguenti:
RADDI ANTONIO di Attilio e di Boni Antonia, nato il 20-5-1923 a Vicchio di Mugello
TARGETTI GUIDO di Cesare e di Roselli Anna, nato il 3-9-1922 a Vicchio di Mugello
CORONA LEANDRO di Daniele e di Corona Maria, nato il 4-5-1923 a Maracalagonis (Cagliari) [era un aviere sardo che si era rifugiato presso una famiglia di Gattaia n.d.a.]
QUITI OTTORINO di Pietro e di Rondini Luana, nato l'8-9-1921 a Vicchio di Mugello
SANTONI ADRIANO di Italo e fu Rossi Marianna, nato l'11-7-1923 a Vicchio di Mugello
I nomi dei graziati sono i seguenti:
RADDI MARINO di Attilio e di Boni Antonia, nato il 20-5-1923 a Vicchio di Mugello
BELLESI GUGLIELMO di Amerigo e di Cecconi Adele, nato il 15 - 7- 1923 a Vicchio di Mugello
Condannati a 15 anni di reclusione:
CHIRICO DOMENICO di Saverio e di Benedetto Saverina, nato il 17 - 7- 1924 a Reggio Calabria
Condannato a vent'anni di reclusione:
CESTINOLI GIUSEPPE di Vittorio e Landi Attilia, nato il 23 -8- 1922 a Borgo San Lorenzo
Condannati a ventiquattro anni di reclusione:
BONI ALDO di Antonio e di Mei Giulia, nato il 20-2-1923 a San Piero a Sieve
BAGGIANI DINO fu Giovanni e di Bangini Maria, nato il 21-1-1924 a Vicchio di Mugello
Il direttore del carcere era molto costernato e mi raccontava con sdegno delle ingiuste condanne: aggiungeva di aver tentato quanto era possibile per
salvarli. Conosceva sopratutto uno dei cinque condannati a morte, il Targetti, del quale si era particolarmente interessato conoscendo le disgraziate sorti della famiglia. Ogni cosa era riuscita vana. Fu allora che io suggerii al direttore l'ultima via da tentare: perché non interessare il Cardinale? Non riuscirà neppure lui a salvarli ma non omettiamo neppure questo tentativo. Il Direttore fece subito chiamare il Padre Carlo Naldi dei Filippini di S. Firenze e assieme a lui andò immediatamente dal Cardinale. Erano le otto di sera. Rimasi nel carcere in attesa fino alle ore 23, senza poter vedere
nessuno e sempre in aspettativa di una telefonata. Finalmente questa venne: purtroppo, nulla era stato possibile fare. I responsabili di queste vittime si erano resi volontariamente irreperibili. Allora il comandante del carcere diede l'ordine di far venire uno alla volta i condannati a morte in una cella accanto all'ufficio suo. Erano nel centro delle carceri, rinchiusi in due celle, assieme ad altri non condannati a morte. Il primo ad arrivare fu il Raddi, con un volto esterrefatto, barcollante, tutto esasperato, il quale, appena mi vide proruppe in grida esasperate. Sorreggendolo, lo condussi nell'ufficio del comandante. Cercai di consolarlo, di parlargli, ma per alcuni minuti dovetti lasciarlo sfogare. Poi, vedendo che ogni mio dire era vano, volli Infondergli ancora speranza, dicendogli "Coraggio, vedi tuo fratello Marino è stato graziato, chissà che la grazia non venga pure per te! " Lui rispose: " Ma è vero? me lo assicura? mi tradirà? " " Sì, Antonio, è graziato, è salvo! " Allora si ricompose subito, si asciugò gli occhi e me lo vidi in ginocchio: " Padre, mi confessi, non ho paura di morire; di due figli la mia mamma ne ha almeno uno, che grazia mi ha fatto la Madonna! " Si confessò, era commosso, era rassegnato. Terminata la confessione, mi prese le mani e fissandomi mi disse: " Padre, mi guardi negli occhi, mi fissi bene: non ho paura di morire: sono innocente e sorrido, in faccia alla morte ". " Bravo Antonio, ora scriverai una lettera alla mamma, ai tuoi cari ". " Si, padre, e voglio scrivere anche al mio Priore che mi ha sempre voluto bene ". Così lo feci passare in un altro ufficio e si mise a scrivere. Intanto, erano venuti pure gli altri quattro condannati. Erano disperatissimi: gridavano, si dimenavano, si buttavano a terra, mi abbracciavano e a mani giunte invocavano pietà, quasi che io potessi salvarli. Volevo lasciarli sfogare, volevo consolarli, volevo aiutarli, volevo pure calmarli. Non sapevo neppure io che fare. Per più di un'ora durò questa estrema esasperazione, eppoi venne il collasso fisico e morale per tutti. Santoni svenne e si riebbe più volte, poi rimase svenuto tutta la notte. Non riuscivo a fargli prendere niente, non volevano fumare, poi aiutato dai secondini li convinsi a prendere una sigaretta che non fumarono. Targetti Guido rimase tutta la notte molto serio, ma impavido, senza neppure fare una lacrima, parlava, ragionava sulla sua ingiusta sorte, ma per nessuno ebbe parole di recriminazione: mi mostrava delle fotografie; mi parlava e chiedeva notizie della sua mamma che aveva lasciata moribonda e diceva che era rimasto a casa per assisterla perché era assai grave. Mi parlava di un suo fratello impiegato al Banco di Roma. " Lui si interesserà di me, non mi devono fucilare, non ho fatto nulla di male, ho combattuto ed ho sempre fatto il mio dovere, ero Guardia alla Frontiera e non sono mai stato punito ". Allora lo invitai a scrivere. Gli dissi: " Su Guido, da bravo, conforta i tuoi cari! " E tutt'ora presente, in tutti i suoi atti, serio, forte, seduto con la penna in mano in un angolo dell'Uff. Matricola: scrisse la lettera con una tranquillità e serenità ammirevoli. Di tanto in tanto mi aiutava ad incoraggiare gli altri. Dietro una fotografia scrisse una semplice dedica: Targetti Guido, caduto il 22-3-1944. Primavera. Mentre ad un certo momento della notte lo lodavo per la sua calma, mi rispose: " Cappellano, so quello che mi sta per accadere e perciò non so se riuscirò a mantenermi così ". Il più disperato era il sardo Corona, gridava continuamente: " Mi fucilano, ma io non voglio morire, io sono innocente "! E queste due ultime parole le gridava in tutti i toni, mordendosi le mani. E poi continuava ancora: " Sono ancora giovane, non devo morire ". Esasperato, girava per la nuda cella, cercando quasi scampo, poi sostava, cadeva a terra svenuto, si riaveva presto, mi abbracciava forte dicendomi: " Padre, non voglio morire, mi deve salvare, ho la mamma lontana ". Piangevo con lui e per tutta la notte continuò in questa esasperazione. Ad un certo momento si alza quasi impazzito e urla: " Non voglio che mi fucilino, mi ammazzo io da solo ". Allora Targetti, sempre calmo disse: " No Leandro, noi siamo innocenti, non ci dobbiamo ammazzare, ci ammazzino loro ". " Scrivi anche tu ai tuoi cari ". Pure Quiti non si sapeva rassegnare, volle telefonare a dei parenti, riuscii a metterlo in comunicazione, ma non appena sentì la risposta al suo pronto, venne interrotta la comunicazione. Allora si mise a piangere
disperatamente: " No Padre, non mi confessi, perché dopo mi fucilano ". "Confessati - replicò il Targetti - perché quei delinquenti ti fucilano lo stesso. È meglio per te andare alla morte con l'anima a posto! " Verso le quattro del mattino si celebrò la Santa Messa, assistevano seduti tutti, eccetto il Targetti che volle stare in piedi. Bella quella Messa in carcere, supremo conforto a cinque condannati a morte! Vi assistevano pure alcuni secondini e il comandante delle carceri. Fecero tutti e cinque la loro Comunione per viatico: subito dopo il Santoni svenne nuovamente e così il Corona. Terminata la Messa e fatte alcune brevi preghiere ci radunammo tutti in cerchio a sedere. Le ore non passavano mai; i poveri giovani erano abbastanza sereni: si ragionava insieme della loro sorte e cercavano parole di speranza. Facevano a volte discorsi molto ingenui: " Cappellano, ci faranno tanto male quando ci fucileranno? Per le sette, saremo già morti? I giornali parleranno di noi? Ci diranno traditori, ma noi siamo innocenti! Diranno che avevamo armi, ma noi eravamo tutti a casa nostra, disarmati. Come si starà sottoterra, morti "? Questi e cento altri discorsi simili facevano quei poveretti, mentre cercavano da me parole di speranza. Non gliene potevo dare. Era imminente l'esecuzione, e illuderli sarebbe stata empietà e delitto: " No, ragazzi, basta con questi discorsi, confidate nel Signore, che prima di voi subì la più ingiusta morte! ". " A che ora ci fucilano? ", era la domanda più insistente. Ed io, laconicamente, rispondevo: " Non lo so ". Allora il Targetti disse: "È meglio che ci prepariamo". Erano le cinque: mi consegnò delle lettere, poi incominciò a frugare nelle tasche e mi consegnò il portafoglio e così fecero tutti gli altri. Mi consegnarono tutto quello che avevano nelle tasche e mi diedero alcune sigarette: "Queste, tenetele per voi ", dissi io. " No, Padre, bastano due ". " Ma no, tenetevi tutto, ancora non vi fucilano ". I secondini mi aiutarono a convincerli, ma ormai sentivano imminente la fucilazione: " È ormai giorno, alle sei ci vengono a prendere! " " Ma chi vi ha detto questo? "" Padre, le fucilazioni si fanno sempre di mattina". Per accontentarli, fui costretto a prendere ogni cosa, assicurandoli che avrei eseguito tutte le loro volontà. Seguirono alcuni momenti di silenzio (come erano lunghi quegli istanti...) poi un suono lungo di campanello diede l'allarme: " Eccoli, vengono a prenderci ", dissero tutti impauriti e cominciarono a piangere disperatamente, correndo all'angolo opposto della porta.
Questa si aprì. Si affacciò un brigadiere dei carabinieri: momento terribile... Con le manette in mano si avvicinò a Raddi. Questo presentò i polsi e disse: " So che tu sei comandato e non ne hai colpa: io ho sempre voluto bene ai carabinieri, non stringere forte perché mi faresti male ". A queste parole il carabiniere finse di cercare qualcosa, diede le manette ad un altro e uscì solo a piangere... Altri due carabinieri fecero lo stesso. A queste scene mi commossi pure io, e il Raddi vedendomi piangere disse: "Padre, non voglio che pianga, ci deve fare coraggio e starci vicino. Vede che io non piango? Quando sarò in Paradiso pregherò per lei, ma ora non ci deve abbandonare: stia vicino, ho bisogno di lei ". Un brigadiere finalmente riuscì a mettere le manette al Raddi e poi agli altri quattro... Li aveva legati insieme, ma il Corona svenuto tirò a terra tutti gli altri... Allora vennero separati e, sorretti da me e da alcuni secondini e carabinieri, tradotti nella macchina del cellulare. Il Corona ed il Santoni erano privi di sensi. Il Targetti era serio e taceva. Raddi pure era serio e chiedeva continuamente: dove ci portano? Corona si riebbe quasi
subito e con Quiti cominciò a piangere e a gridare per tutto il tragitto: "Aiuto, pietà, ci fucilano, non avete la mamma, ci fucilano, il nostro sangue vi resterà sull'anima, griderà vendetta! " Erano impazziti dal dolore. Ero seduto in mezzo a loro e non facevo che sorreggerli, accarezzarli e baciarli. Giunti al Campo di Marte, vedo le molte reclute schierate per assistere alla fucilazione. " Guarda - disse il Quiti - guarda quanta gente alla fucilazione ", e si nascose la faccia in un angolo della macchina. Cercavo di nascondere loro tutti quei preparativi, ma da alcune fessure della macchina potevano vedere tutto! " Guarda le sedie con le bende " "Guarda il plotone che ci deve fucilare! ", disse il Raddi e urlando chiamava alcuni del plotone che, schierati in dodici per parte dalla macchina, udivano tutte quelle grida.Ci fecero aspettate nel cortiletto dello stadio per ben 24 minuti, che furono ore dI spasimo. Il Quiti disse a uno del plotone: "Colpiscimi giusto e
non farmi tanto soffrire! " Nel frattempo, una decina di gerarchetti della federazione di Firenze in trenci e con la sigaretta in bocca giravano intorno alla macchina, curiosando e desiderosi di vedere le vittime. Appena il Quiti e il Raddi videro questi borghesi, si misero nuovamente a gridare: " ... pietà, aiuto, ci fucilano, salvateci! " Un brutto ceffo di delinquente rispose loro digrignando i denti: " Ah! Adesso, pietà... " Balzai allora dalla macchina e pieno di sdegno li cacciai investendoli di male parole e dissi loro: " Non è lecito, né umano oltraggiare così dei condannati a morte! ". " Chi sono? ", mi chiesero il Raddi e il Quiti. Ed io risposi: "Sono degli assassini ". Finalmente giunse il gerarca ed il papavero atteso. Don Giulio Roberti sollecitò affinché si portassero le povere vittime sul luogo dell'esecuzione e così fosse smessa quella tortura indicibile. Il luogo scelto fu la parte esterna dello stadio Berta, poco lontano dalla torre. Venne l'ordine di tradurre le vittime sul luogo del supplizio. Si udiva solo il pianto dei poveri condannati. Diedi loro l'ultima assoluzione. Aiutai, assieme all'altro Cappellano, a bendare gli occhi degl'infelici. Poi Raddi mi disse: " Cappellano, voglio darle un bacio ". Mi inchinai e mi baciò in fronte e per questo gli levai leggermente la benda. Allora tutti gli altri mi vollero baciare. Il capitano del Distretto Militare di Firenze, comandante del plotone di esecuzione, fremeva e con segnali voleva che mi sbrigassi. Quiti allora
volle parlare col comandante del plotone di esecuzione; lo chiamai e gli chiese; " Ma perché ci fucilate? sapete cosa vuoi dire morire, mandateci al fronte, ma noi siamo innocenti, nessuno ci può salvare? ".
" Stai buono - rispose il comandante - non ti facciamo niente ". E volle che si ribendasse subito. Ancora il Raddi mi vuol parlare e dice: "Cappellano, dica alla mia mamma che mi sono confessato e che lei mi è stato sempre vicino ". Anche gli altri dissero: " Sì, anche alle nostre famiglie dica che ci ha assistito lei tutta la notte e faccia coraggio ai nostri cari ". Intanto un certo Paolo di Vicchio o forse meglio del Cistio amico di Antonio Raddi, venne a salutarlo e salutò pure gli altri. Passarono perciò alcuni secondi. Quiti cominciò a tremare. Voleva alzarsi e scappare, anche il Raddi e il Corona ebbero un momento di esasperazione. Con il Cappellano Don Giulio Roberti riuscii a quietarli, dicendo loro; " Pensate al Paradiso, il Signore
vi aspetta, siete nelle mani di Dio e della Madonna, coraggio! " Con queste e simili parole, ma specialmente mediante la grazia del Signore, che in questi momenti tutti sentivano potente ed efficace, si riuscì a far loro tornare un po' di calma. Allora feci un balzo indietro e subito avvenne la scarica del plotone.
Targetti, Raddi e Santoni morirono subito. Non così il Quiti, che ancora vivo dopo la scarica del plotone, legato alla sedia si dimenava, gridando: " Mamma, mamma! Allora si avvicinò il comandante che gli scaricò in faccia a un metro di distanza sei colpi di rivoltella. Il disgraziato non era ancora morto e
continuava a chiamare mamma, buttando continuamente sangue. Questa scena impressionò assai. Uno che con me assisteva, si appoggiò a me dicendo: " Che strazio! ". Alcune delle reclute che assistevano svennero. Si udì pure una voce: " Vigliacchi, perché li uccidete? ". Alcuni scapparono e ci volle la forza
per trattenere altri che volevano fare lo stesso. Fu il maggiore Mario Carità, il famigerato comandante delle S.S., che dopo alcuni istanti intervenne e diede il colpo di grazia. Mentre somministravo l'Olio Santo, il Corona ripeté lui pure: " Mamma! ". Allora pregai il Carità che desse il colpo di grazia a tutti. Regnava silenzio: stavano per andarsene, ma li feci fermare tutti e volli recitare ad alta voce il De Profundis.
Messi con religioso rispetto nelle casse che furono subito portate, li accompagnai al cimitero di Trespiano ed assistetti alla loro sepoltura. Ritornai subito a S. Gallo dove celebrai la S. Messa da Requiem per loro e
vi assistettero tutte le suore. Poi mi recai dal Cardinale di Firenze, raccontai ogni particolare; commosso per la morte cristianamente incontrata, disse solo, dopo aver attentamente udito ogni cosa: " Queste povere vittime hanno finito di soffrire e sono già in Paradiso ". Lesse attentamente le lettere che avevano scritto. Queste lettere furono pure fatte leggere al responsabile principale di questa fucilazione, il sanguinano Rossi Adami, il quale dopo averle lette si lasciò sfuggire: " Poveri ragazzi, non si meritavano queste pene ". E subito, quasi correggendosi dinanzi al Cappellano che le aveva fatte leggere, aggiungeva: " Bisognava fucilare tutte le loro famiglie". L'impressione riportata in tutta Firenze da questo misfatto fu somma e per l'innocenza di queste giovanissime vittime e per il modo barbaro col quale vennero fucilate.
Un ufficiale, uomo senza dignità e senza cuore, chiese a dei suoi soldati: " Beh, ragazzi, vi è piaciuto il cinematografo di stamani? ". Alcuni comandanti radunarono le loro truppe e spiegarono loro che i giustiziati
erano stati giustamente fucilati, essendo degli assassini comuni, colpevoli di molti delitti, che seminavano o terrore o morte ovunque. Niente di più falso: erano cinque semplici e poveri figli del popolo, vissuti sempre tra la quiete dei loro campi, lassù in Mugello, lontano da tutti; mai avrebbero sognato che giù, a valle, nel marciume della città e del gran mondo, potessero esistere tante ingiustizie ed iniquità. Troppi drammi simili a questo si sono svolti tra i popoli che si credono civili; lo scettico, che forse ha ancora qualche sentimento buono e onesto, si fa più pensoso ed impreca al destino. L'uomo di fede invece, mentre deplora tanta malvagità, alza gli occhi al Cielo e adora i segni imperscrutabili di Dio che tollera tanto male, ma che presto o tardi ne saprà trarre un bene proporzionato. Ma l'uno e l'altro di fronte a questa umana tragedia deve concludere: " Giovanissimi, belli, pieni di vita, buoni e innocenti, erano senza dubbio le vittime più degne da immolarsi per la salvezza della Patria nostra martoriata ".

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