Questo libro parla del rapporto che intercorse tra Giovanni Gentile e il fascismo dal 1922, quando il filosofo fu nominato Ministro dell'Istruzione nel primo governo Mussolini, al 1944 quando venne ucciso dai partigiani. L'autrice discute le varie reazioni, in termini di sostegno o di critica, che l'opera e il pensiero gentiliani suscitarono nel mondo fascista fra esponenti del partito e membri del governo, filosofi, storici e giuristi, giovani fascisti e docenti universitari. Alcuni videro in Gentile il principale teorico del fascismo, altri, invece, che consideravano la sua influenza sulla cultura italiana un pericolo per il regime, lo avversarono strenuamente. Un contributo importante alla ridefinizione del ruolo che il filosofo idealista svolse durante il fascismo.