Grappa, sacrario in abbandono

CRESPANO DEL GRAPPA – Eroismo, orgoglio, coraggio. E poi pietà, umanità e sofferenza. Per pochi intimi, però. Perché per arrivare al sacrario di Cima Grappa bisogna cercare con il lumicino o sperare di incontrare un barista gentile che, abituato ai visitatori disorientati, è capace di dare indicazioni sufficienti per raggiungere l’unico cimitero monumentale del mondo costruito sulla vetta di una montagna. Di certo, al sacrario dedicato ai caduti della Grande Guerra non ci si arriva seguendo i pochi cartelli nascosti dalle parti di Borso del Grappa lungo la strada tortuosa che va da Bassano a Crespano o seguendo il Gps dell’auto che indica strade inesistenti a meno che non si punti dritto alle scarpate. Poco importa dunque che la Prima Guerra Mondiale sia uno di quei pochi episodi della storia nazionale che mette d’accordo quasi tutti gli italiani a prescindere dalle origini politiche o sociali, oggi l’ossario rischia di diventare, per chi non è della zona o non ha fatto l’alpino, un monumento segreto.

È vero che l’esercito è da sempre restio a dare indicazioni sulle basi militari, ma questa volta non si è limitato a tenere nascosti i segnali per la strada costruita su ordine del generale Luigi Cadorna nel 1917, ha anche deciso di non divulgare troppo le informazioni contenute nel museo dedicato alla storia del cimitero militare costruito dall’architetto Giovanni Greppi e dallo scultore Giannino Castiglioni all’inizio degli anni Trenta. Il piccolo museo infatti ormai resta sempre chiuso nei fine settimana per mancanza di personale. «Siamo solamente in due in questo momento a occuparci di tutto – confessa uno dei militari che vive nella caserma ai piedi del monumento e che pazientemente affronta ogni weekend turisti arrabbiati per la mancanza di indicazioni e per la chiusura del museo – finché non arriveranno i rinforzi riusciremo a malapena a fare le manutenzioni di base». Anche le proiezioni che illustrano le gesta eroiche dei circa 23 mila soldati seppelliti nel cimitero dell’Ultima Cima infatti si fermano alle 4 del pomeriggio. L’unica attività garantita è quella delle visite alle gallerie. «Noi diamo una mano come possiamo – sorride con gentilezza un uomo con il cappello d’alpino – siamo in congedo e veniamo qui a fare le guide nella galleria Vittorio Emanuele per onorare la memoria dei caduti».

E in effetti, immaginare la vita dei soldati che quasi cento anni fa lottavano contro il freddo e la fatica attraversando i profondi cunicoli scavati nella roccia, smorza le critiche dei visitatori per la scarsa manutenzione, per i piastroni di cemento scheggiati e per le erbacce che crescono tra i mattoni dell’osservatorio. D’altra parte la crisi finanziaria non colpisce solo uomini, aziende e pubbliche amministrazioni. Anche i monumenti soffrono per la mancanza di fondi. Alle decine di migliaia di storie drammatiche che il sacrario di Cima Grappa ha da raccontare dunque se ne aggiunge un’altra quasi cento anni dopo. La crisi si somma così alle almeno dodicimila storie che parlano italiano – come si capisce dai nomi dei soldati incisi sulle lapidi – e alle circa diecimila che, dai cognomi, sono partite dalla vicina Klagenfurt o dal più remoto angolo dell’Ungheria, un tempo interamente appartenuta all’Impero di Francesco Giuseppe. E se oggi i caduti vengono ricordati dal perenne sventolio della bandiera italiana e da quella austriaca sui due vicini ossari, la crisi ha ridotto le occasioni per issare il Tricolore sugli altri cinque pennoni del monumento.

«Alcune volte ritardiamo o rinviamo l’esposizione delle bandiere degli ossari se le condizioni atmosferiche rendono troppo pericolosa l’operazione – continua il militare a guardia del sacrario – per il resto ci atteniamo al protocollo e il comando ci ha dato delle priorità». Le tre bandiere dietro il sacrario vengono dunque issate solo la domenica mattina, mentre i due altissimi pali che segnano l’ingresso alla fine dei gradoni vengono ornati dai vessilli solo in occasione delle adunate degli alpini e di alcune ricorrenze militari. «Che purtroppo attirano sempre meno persone», conclude uno dei baristi della baita ai piedi del monumento.

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