221455 - Edicola ai partigiani fucilati il 5/8/1944 presso Casa Cucina – Ontignano di Fiesole (FI)

Edicola posta sul luogo dove il 5 Agosto 1944 soldati tedeschi fucilarono 12 partigiani (di cui uno solo ufficialmente identificato), probabilmente appartenenti alla X Brigata Garibaldi “Silvano Caiani”, catturati lo stesso giorno dopo uno scontro a fuoco avvenuto sul Poggio alle Tortore e che causò la morte di altri partigiani e civili nella zona circostante. L’edicola si trova lungo un muro a secco che costeggia un oliveto, in area privata, non agevole da raggiungere. Si tratta di una struttura formata da bozze di pietra, con copertura a spiovente formata da tegole. Sul suo vertice è collocata una croce cristiana di ferro. Nella parte superiore dell’edicola è stata ricavata una nicchia, delimitata lungo il suo perimetro da mattoni a vista. La volta è un arco a tutto sesto. L’interno è dipinto in blu, a mo’ di cielo stellato. La nicchia ospita una formella in terracotta raffigurante una Madonna con Bambino. La presenza di cardini indica che in origine la nicchia era protetta da un’inferriata, ora assente. Sotto la nicchia sono collocate due lastre rettangolari di marmo. Quella inferiore, in marmo grigio, è stata dedicata dai partigiani di Sieci all’unico caduto identificato, Sergio Chiari (“Bombacci”), originario di questa frazione del Comune di Pontassieve (Fi). L’epigrafe, percorsa da una leggera cornice in bassorilievo, reca incisa, inoltre, la data della fucilazione e quella di posa. La lapide superiore, in marmo bianco, è sostenuta da quattro perni di ferro. E’ dedicata dai compagni della Casa del Popolo di Ontignano (Fiesole) a 3 civili uccisi dai tedeschi lo stesso 5 Agosto 1944 in località Casa Gello in conseguenza all’episodio che ha visto la fucilazione degli 11 partigiani in questo luogo. L’epigrafe reca inciso la data di morte di queste 3 vittime e quella di posa della lapide, oltre al numero dei partigiani (19) caduti nella zona in quest’infausta giornata. Tuttavia il numero dei partigiani morti non è stato a tutt’oggi quantificato con precisione risultando alcuni di essi dispersi in questa zona, altri di nazionalità straniera non identificabili se non con il nome di battaglia ed altri ancora resi irriconoscibili dal fuoco o dalla decomposizione.

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Frazione Ontignano
Indirizzo:
Località Casa Cucina n. 4
CAP:
50014
Latitudine:
43.8035079
Longitudine:
11.3335452

Informazioni

Luogo di collocazione:
Lungo un muro a secco che costeggia un oliveto
Data di collocazione:
L'edicola, con la prima lapide, è stata inaugurata il 29 Ottobre 1944; la seconda lapide è stata apposta il 3 Febbraio 1946
Materiali (Generico):
Laterizio, Marmo, Pietra, Altro
Materiali (Dettaglio):
Pietra per la struttura portante dell’edicola. Laterizio per le tegole della copertura a spiovente e per i mattoni a vista che circondano la nicchia. Marmo per le due lapidi (bianco per quella superiore e grigio per quella inferiore). Terracotta per la formella raffigurante la Madonna con Bambino posta all’interno della nicchia. Ferro per la croce cristiana collocata sul culmine dell’edicola e per i perni di sostegno di una delle due lapidi.
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Informazione non reperita
Notizie e contestualizzazione storica:
Intorno al 27 Luglio 1944 la II Brigata Giustizia e Libertà “Carlo Rosselli” riceve l’ordine di prepararsi per la discesa su Firenze ed il 1° Agosto successivo, alle ore 20:00, inizia la marcia di trasferimento. A questa data la Brigata, comandata da Vittorio Barbieri (“Grimani”), è costituita da una settantina di uomini, individualmente armati di fucile, pistola e bombe a mano, disponendo complessivamente di sedici armi automatiche, comprese mitragliatrici e bipiedi.
Il trasferimento dura vari giorni, dovendo procedere lentamente, con circospezione, durante la notte, celandosi di giorno, onde filtrare attraverso le linee tedesche senza destare allarmi.
Per tale ragione e per i connessi motivi di sicurezza, la formazione giellista marcia incolonnata con i reparti della X Brigata Garibaldi “Silvano Caiani”, partita il 3 Agosto da Monte Giovi ed anch’essa diretta a Firenze.
Giunti sul Poggio alle Tortore, sopra Compiobbi (frazione di Fiesole), Bruno Bernini (“Brunetto”), comandante della formazione garibaldina, dà il segnale di partenza per l’ultima tappa di avvicinamento alla città.
Sono circa le 23:00 del 4 Agosto: il Fosso alle Grazie è ancora lontano e la distanza va coperta in una sola tappa, prima che giunga la luce dell’alba. La lunga fila di partigiani ha affrontato la discesa nella valle del torrente Sambre, snodandosi silenziosamente fra le pieghe del terreno accidentato. La zona collinare a nord-est di Firenze è densamente occupata dai reparti della IV Fallschirmjaeger-Division, i temibili parà tedeschi.
La colonna è affidata al contatto fra i singoli componenti e non è preceduta, né fiancheggiata, da elementi che, esponendosi ad opportuna distanza, potrebbero ridurre l’eventualità che il nemico si riveli bruscamente, rompendo il tenue collegamento.
Verso le 2:00 del 5 Agosto, arrivati in località detta Tre Pini, tra Montebeni (Fiesole) e Settignano (Firenze), i partigiani devono passare piano piano, sempre in fila indiana, lungo un viottolo poderale , davanti alla casa di un contadino (Casa Gello), dov’è una postazione tedesca composta da cinque militari.
Dell’impatto con detta postazione non è protagonista un’avanguardia , bensì la testa della colonna; anzi è stato lo stesso “Brunetto” a notare davanti a sé un’ombra sospetta tanto da indurlo a bloccare la marcia e a decidere di cambiare direzione. Si deve deve, però, saltare un ciglio troppo alto e così dà ordine a due partigiani di tornare indietro fino ad una casa colonica da poco oltrepassata dove potrebbero procurarsi una scala a pioli. Proprio nell’attesa del loro ritorno, sulla testa della Brigata si abbattono, improvvise, raffiche di proiettili.
Bruno Piancastelli (“Gigi”), ex partigiano azionista, affermerà nelle sue memorie che, mentre sta passando o sta finendo di passare la prima frazione della Brigata “Caiani” (più metà degli elementi) e quando stanno passando anche i giellisti, dalla casa del contadino si accende una luce sotto la loggia e si sente parlare in tedesco. Gli uomini di Piancastelli si acquattano disponendosi a ventaglio nell’attesa del da farsi. “Gigi” si trova accanto al comandante Barbieri ed al partigiano “Didon”, a bocconi in un fossetto, vicino ad un piccolo argine. Sono forse ad una quarantina di metri, proprio di fronte alla porta d’ingresso della casa.
I garibaldini, senza aver preso nessuna misura difensiva, sono rimasti sorpresi nonostante che alcuni elementi più esperti quale il vicecomandante Guido Cavalcabò (“Moretto”), Rolando Gelli (“Mangia”), Enzo Giacomelli (“Francesino”), Renzo Baroncini (“Folle”) e forse qualcun altro, abbiano risposto prontamente al fuoco con il lancio di alcune bombe a mano. La colonna, che si trova su un terreno a terrazzamenti, si è spezzata in più punti. I vari segmenti si sono allontanati in diverse direzioni e, in pochi minuti, la Brigata è allo sbando.
Piancastelli, dopo le prime fucilate e le prime sventagliate di mitra, viene rincuorato dal crepitare di un bipiede proprio alle sue spalle. Sono i garibaldini, forse quelli del secondo segmento, che hanno raggiunto i giellisti e che ora stanno combattendo al loro fianco.
C’è un momento di stasi quando nella casa si accende una luce e, dal vano illuminato della porta, appare la sagoma di un uomo che chiama due o tre volte con voce gutturale. Sembra che questi scandisca il nome: “Paolo! Paolo!”. Dalle file partigiane parte una raffica, l’uomo allarga le braccia e la luce si spegne. Dalla casa, ripiombata nel buio, ricomincia una violenta sparatoria.
Solo la testa della colonna può proseguire; una parte, singolarmente o a gruppi, si è sbandata disperdendosi, mentre quella rimasta più indietro riprende la direzione del Monte Giovi.
Dopo altri scontri a fuoco, intervallati da lunghe pause, sopraggiunge l’alba e con questa l’ordine di ripiegare per gli uomini della II Brigata G.L. “Rosselli”. Non si sa chi abbia impartito questo comando. Comunque sia, la luce del sole può ridurre i partigiani a facile bersaglio per i tedeschi asserragliati nella casa e per quelli che certamente sarebbero arrivati di rinforzo.
Il comandante Barbieri chiama i suoi uomini a raccolta, ma sono pochi quelli vicino a lui, in cima alla collina dei Tre Pini, ai piedi di due enormi tralicci della linea elettrica: forse una quindicina. Sono stati preceduti da altri che adesso non ci sono più e che, presi dal panico, hanno abbandonato armi ed equipaggiamento.
Della Brigata “S. Caiani” nessuna traccia; hanno perso i contatti anche con loro. Dopo un breve consiglio tenutosi sul Poggio alle Tortore, a giorno ormai fatto, il comandante Barbieri, non potendo attraversare le linee nemiche, decide che i partigiani devono nascondersi nella zona, nelle basse macchie e nei cespugli disseminati qua e là sul versante del Sambre, riunendosi poi alla sera, nella prima oscurità, individualmente o a piccoli gruppi, in città. L’appuntamento è all’interno dell’Ospedale psichiatrico di San Salvi.
Alcuni giellisti, non pratici della zona, preferiscono rientrare sul Monte Giovi e, durante questo percorso, molti gruppetti vengono scoperti ed attaccati dai tedeschi . Infatti per tutto il giorno si odono qua e là sparatorie e raffiche di armi automatiche.
In questa fase gli azionisti hanno due feriti leggeri da schegge di bombe a mano (Adriano Della Rocca e Remo Malagigi) mentre scompare per sempre Ugo Claudi (“Delfino”), di Scaperia (Fi). Di lui non si saprà più nulla nonostante le ricerche effettuate dalla famiglia e dai compagni, immediatamente dopo la Liberazione e negli anni successivi.
Altri si sono nascosti nel Fosso delle Grazie, nei pressi di Settignano e successivamente hanno raggiunto Firenze.. Una quindicina, riunitisi a tarda sera al comandante Barbieri, a Ezio Castelli e Bruno Piancastelli, scendono a Compiobbi (Fiesole), cercando di entrare in città seguendo la linea ferroviaria. Vittorio Barbieri non vedrà la Liberazione di Firenze: catturato dai tedeschi sarà fucilato nei pressi di Casa Paretaia, tra Pagnolle e San Clemente, il 7 Agosto successivo. Alla sua “memoria” sarà conferita la medaglia d'Oro al Valor Militare.
Sergio Chiari (“Bombacci”, originario di Sieci), caposquadra della Brigata “S. Caiani” ed altri dieci partigiani sono sorpresi e catturati all’alba in un rifugio scavato dalla famiglia Monnetti presso il loro casolare, non lontano dal luogo dello scontro. Condotti al vicino Comando che ha sede nella Villa Naldi di Ontignano (Fiesole) ne viene decisa la loro fucilazione. Vengono poi rinchiusi nella Chiesa insieme a molti ostaggi rastrellati in loco e nelle immediate vicinanze.
Nel primo pomeriggio di questo 5 Agosto Sergio Chiari e i suoi compagni sono muniti ciascuno di un attrezzo da scavo e avviati verso i campi ad ovest del paese. A questi vengono aggregati due giovani ostaggi, i fratelli Ottavio e Marino Moscardi. Per loro fortuna un maresciallo tedesco, di nome Emilio, rileva l’errore dei camerati e provvede a rimandarli indietro.
Gli altri 11, tra cui Chiari, Roberto Farsi (detto “Z3”, da Polcanto, frazione di Borgo San Lorenzo), e forse Bruno Checcacci (classe 1908), Dante Corinti (“Cori”), tre sardi ed un siciliano, tutti della Brigata “S. Caiani”, vengono fatti proseguire fin presso un muretto a secco del Podere Cencetti, presso la località detta Casa Cucina. Qui sono costretti a scavare una fossa poco profonda, venendo poi fucilati e frettolosamente coperti.
Altre testimonianze parlano che i soli italiani di questo gruppo siano il Chiari e il Farsi, mentre gli altri partigiani sarebbero di nazionalità russa e polacca. I loro corpi, inoltre, sarebbero stati bruciati con i lanciafiamme.
Secondo altra fonte Roberto Farsi sarebbe stato catturato nella zona di Ontignano durante il rastrellamento operato dopo lo scontro della notte ed immediatamente fucilato.

Che cosa si sia esattamente verificato sul luogo dello scontro è arduo ricostruirlo.
Secondo una frase pronunciata dal maresciallo Emilio, riferita da Marino Moscardi, dei cinque soldati della postazione, quattro sarebbero rimasti uccisi ed uno ferito, il che farebbe pensare che siano stati sorpresi dalla reazione dei partigiani, quanto questi lo erano stati dal loro attacco. Infatti quest'ultimi ipotizzarono che le sentinelle tedesche, forse messe in allarme da qualche rumore provocato nel bosco dagli uomini in marcia, abbiano sparato una raffica in direzione della colonna in cammino. Dai partigiani si era risposto con un'altra raffica di fucile mitragliatore. Questo repentino scambio di colpi aveva provocato in altri partigiani l'impressione che i tedeschi avessero sparato da due parti, accentuando lo spavento dell'improvviso combattimento e contribuito ad aumentare il panico, rapidamente diffusosi fra i combattenti delle due Brigate, ad eccezione dei pù animosi e temprati.
La testa della colonna, circa 150 uomini della Brigata “S. Caiani”, che era già passata, si era slanciata in avanti e, anche se a stento, non si era dispersa, venendo condotta dal comandante “Moretto”, da “Dante”, “Morello” e “Baffo” nel Fosso delle Grazie, fino a prendere contatto con le formazioni cittadine. Il resto della formazione aveva subito un repentino sbandamento: mentre una parte era riuscita a tornare sul Monte Giovi, altri si erano dispersi nella zona subendo il rastrellamento nemico iniziato fin dalle prime luci dell'alba. Altri ancora erano riusciti a sottrarsi alla caccia delle pattuglie tedesche sparpagliandosi nei boschi vicini in attesa del momento propizio per riprendere il cammino verso la città.
Altri sbandati, in piccoli gruppi o anche singolarmente, avevano seguito direzioni e sorti diverse. Per lo più erano riusciti a raggiungere ugualmente la parte nord-orientale di Firenze, taluni rientrando nelle proprie abitazioni, altri trovando rifugi di fortuna.
I morti vengono contati esattamente un mese più tardi, il 5 Settembre, quando Corrado Bianchi (“Tarzan”), Alessandro Pieri (“Stella”) , assistiti da don Baldassarre Brilli, parroco di Settignano. Per ordine del Comando della Divisione Garibaldi “Potente”, si recano a recuperare le salme sepolte in più punti nella zona circostante Ontignano, in genere coperte sotto un leggero strato di terra. Ne contano 31, per lo più non identificabili, per cui alcuni vengono sepolti nel Cimitero di Settignano in tombe senza nome.
Il numero fornito da “Tarzan” e “Stella” comprende, però, molti partigiani che non sono caduti nel luogo e nel momento dello scontro ed anche dei civili.
Non viene individuato il corpo del giellista Ugo Claudi (“Delfino”), nemmeno da indizi quale il suo dente d'oro.
Disperso per sempre resta Fabio Pasqui (“Tacco”), di Sesto Fiorentino, già appartenente alla XXII Brigata Garibaldi “Lanciotto”, giovane dal carattere mite, valido saltatore d'asta (campione nelal sua categoria).
Un altro disperso risulta Dante Corinti (“Cori”), nato a Firenze il 19 Dicembre 1925. Diplomatosi presso il Liceo classico “Michelangelo”, era stato chiamato alle armi nell'Aeronautica e destinato a Sacile (Pn). Nel Maggio'44 trovandosi in licenza a Firenze, anziché rientrare al proprio reparto, aveva preferito unirsi ad un gruppo di amici che avevano scelto di raggiungere Monte Giovi per unirsi ai partigiani della “Lanciotto”. Successivamente, con la costituzione della Brigata “S. Caiani”, era entrato in questa formazione. Per anni l'angoscia dei familiari si rinnova da contrastanti versioni della sua fine, anche se l'ipotesi più verosimile, suffragata da una quantità maggiore d'indizi, è che egli si sia trovato fra gli 11 partigiani fucilati nel Podere Cencetti.
Altri partigiani dispersi sono Aurelio Fantini, commissario politico di battaglione, Enzo Cai, caposquadra e Sirio Brilli, tutti della Brigata “S. Caiani”.
Tra i Caduti partigiani vi sono anche il violinista viareggino Lelio Giusti (“Lalò”), che altra fonte vuole sia morto a Firenze il 30 Agosto 1944 e Alfredo Fantucci (“Primula Rossa”), nato a Firenze il 6 Febbraio 1918, studente di architettura, sottotenente del Genio nel Regio Esercito, fucilato nei boschi di Santa Brigida il 5 Agosto 1944 dopo essere stato catturato nel tentativo di far saltare un ponte alle Sieci. Quest'ultimo viene indicato anche tra i fucilati nel Podere Cencetti.
Sulle perdite subite dal nemico la fonte azionista di Bruno Piancastelli riporta il numero, decisamente inverosimile, di venti morti.

E’ importante trattare anche di altri avvenimenti accaduti in questa zona il 5 Agosto 1944 in conseguenza dello scontro tra partigiani e tedeschi a Casa Gello.
La mattina di questo giorno i paracadutisti tedeschi in azione di rastrellamento fucilano presso Casa Gello alcune persone prese tra gli sfollati di Paiatici (Fiesole) e gli abitanti del luogo: Giuseppe Spinelli, 57 anni; Demo Spinelli, 19 anni ed Emilio Salvadori, 31 anni, alla presenza dei familiari; Michelangelo Martelli, 17 anni,; Ezio Cencetti, 18 anni ed il carabiniere Gino Caselli, 44 anni.
L’agricoltore Nello Pini, 44 anni, che si trova nel campo intento ai propri lavori, corre verso casa per rendersi conto della situazione. Una raffica lo falcia tra gli ulivi, tragico epilogo di un momento di confusione generale nel quale un gesto inconsulto può costare la vita.
I corpi delle vittime rimangono a lungo sul luogo della loro uccisione perché nessuno ha il coraggio di andarli a recuperare. Solo verso sera, una donna, Marianna Guidotti, nell’incredulità generale, si reca con la treggia a recuperare le salme e a portarle nella cappella del paese.

Sempre al mattino del 5 Agosto 1944, “Ivan”, un soldato sovietico, ex prigioniero di guerra unitosi ai partigiani della Brigata “S. Caiani”, in seguito allo sbandamento della propria formazione, si è portato con alcuni compagni sull’opposta pendice del Poggio alle Tortore, presso la località Citerno, nel territorio comunale di Fiesole.
Venuti a trovarsi a breve distanza da un capitano tedesco che sta bevendo ad una fonte, qualcuno di questi partigiani, tra i meno temprati, spara all’ufficiale ferendolo. Il russo si trova costretto a finirlo con un pugnale nel vano tentativo di evitare l’intervento di altri soldati tedeschi.
Rimasto solo a proteggere lo sganciamento dei compagni, “Ivan” combatte finché, ferito gravemente, non viene catturato e condotto presso il Comando insediato nella vicina Villa Poccianti.
Frattanto i paracadutisti germanici, dopo l’eccidio di Casa Gello, hanno rastrellato parecchi uomini residenti nella zona (30 o 50 uomini, a seconda delle fonti, trattenuti nella Villa Naldi) e li hanno scortati dinanzi alla cappella vicino alla casa colonica di Primo Casini, dove è stata eretta una rudimentale forca per procedere alla rappresaglia seguita all’uccisione del loro ufficiale.
Dopo un’attesa carica di angoscia, sopraggiunge sul luogo, proveniente da Villa Poccianti, un calesse sul quale due soldati stanno sorreggendo in piedi il partigiano ferito.
Il condannato giunge dinanzi alla forca, sotto al rosone della cappella. Gli viene passato il cappio di filo spinato intorno al collo, poi, una frustata fa muovere il cavallo, lasciando il corpo di “Ivan” a penzolare senza vita.
Agli ostaggi costretti ad assistere all’esecuzione, uno dei carnefici dice loro di ritenersi fortunati che si sia trattato di un russo piuttosto che di un italiano, senza però precisare se gli autori della rappresaglia si siano ritenuti soddisfatti dell’impiccagione dell’ex prigioniero o se “Ivan” si sia addossato la responsabilità della morte del capitano per salvare la vita a degli innocenti che sarebbero stati massacrati qualora non si fosse individuato il colpevole.
Dopo l’esecuzione, tutti gli ostaggi sono liberati.

Quasi contemporaneamente alla fucilazione degli 11 partigiani nel Podere Cencetti, nella zona di Ontignano un altro soldato russo, tenuto in stato di semiprigionia da un reparto germanico insediatosi nel casolare di Enrichetta Giannelli, detto “La Torretta”, viene a diverbio con due militari tedeschi avendo tentato di impadronirsi di un fucile appoggiato al muro sotto il portico della colonica. Subito disarmato, il russo si dà a precipitosa fuga fino a quando non viene abbattuto da una raffica sparata da un terzo soldato che, nel frattempo, si è affacciato da una finestra della casa.

Sempre in questo 5 Agosto i contadini Gino Romolini e Vittorio Ugo Davitti sono condotti dai tedeschi dietro la cappella di Castel di Poggio, nei pressi di Montebeni (Fiesole), fucilati sul ciglio della strada e quindi coperti da alcune fascine di legna.
Il 5 Settembre successivo i partigiani Corrado Bianchi ed Alessandro Pieri, coadiuvati da don Brilli, provvedono alla loro sepoltura nel Cimitero di Settignano.
La loro morte è da mettersi in relazione al sabotaggio, avvenuto agli inizi del mese, di un cavo telefonico in Via della Torre, a Firenze, che collegava i reparti combattenti al Comando insediato nella Villa Sforzesca, forse attuato da un partigiano chiamato “Serpente”. Il rastrellamento seguitone aveva portato i soldati nella vicina casa colonica di Giulio Peroni: fortunatamente per lui e per la sua famiglia non venne trovato nessun attrezzo capace di tranciare il grosso cavo elettrico. Ciononostante vennero catturati nella zona i due malcapitati contadini di Ponte a Mensola (Firenze) mentre stavano lavorando nei campi e che poi finiranno fucilati a Castel di Poggio.

Fonti utilizzate:

• Anpi Zona Firenze Est - “Un messaggio che continua. Contributo della IV Zona alla Resistenza”, Comune di Firenze e Consigli di Quartiere delle Circoscrizioni 11/12/13/14, Firenze: Quaderno n. 2 (1981), Quaderno n. 3 (1982), Quaderno n. 4 (1983).

• Francesco Bergamini & Giuliano Bimbi - “Antifascismo e Resistenza in Versilia”, Anpi Versilia, Ist. Storico Provinciale Lucchese della Resistenza, Viareggio 1983.

• Piero Calamandrei - “Uomini e città della Resistenza”, Laterza, Roma-Bari 2014.

• Comune di Fiesole - “Guerra e lotta di liberazione a Fiesole e nel suo territorio”, a cura di Sandro Nannucci, Quaderni di documentazione n. 1, Studio GE9, Fiesole 1985.

• Dante Danti & Gianni Batistoni - “Sestesi nella Resistenza”, Edizioni Polistampa, Firenze 1994.

• Giovanni Frullini - “La liberazione di Firenze”, Sperling & Kupfer Editori, Milano 1982.

• Piero Mani – “Tempo di guerra. Invasori, sfollati, partigiani: storie del popolo fiesolano 1943-45”, Libri Liberi, Firenze n.e. 2013

• Bruno Piancastelli - “Giustizia e Libertà nel Mugello: La II Brigata Rosselli. Trecentosessantacinque giorni alla macchia; in fondo, si rischiò solo di morire”, Quaderni della Fiap, Roma 1985.

Contenuti

Iscrizioni:
Lapide inferiore:

A
SERGIO CHIARI
QUI DOVE FU DAI SOLDATI TEDESCHI
BARBARAMENTE UCCISO
IL 5 . 8 . 1944
INSIEME AD ALTRI 11 FEDELI COMPAGNI
CHE IMMOLARONO LA LORO GIOVANE VITA
PER LA LIBERAZIONE DELLA PATRIA
I COMPAGNI DI SIECI POSERO
29 – 10 – 1944

Lapide superiore:

ALLA MEMORIA ETERNA
DI
NELLO PINI E SPINELLI GIUSEPPE E ADEMO
CON ALTRI 19 PATRIOTTI
TRUCIDATI DAI BARBARI TEUTONICI
IL 5 – 8 – 1944
COMPAGNI DELLA CASA DEL POPOLO DI
ONTIGNANO
A RICORDO PERENNE DEL LORO OLOCAUSTO
PER LA NOSTRA PATRIA
IMPLORANDO DA DIO LA PACE ETERNA
P – Q – M
IL DI 3 FEBBRAIO 1946
Simboli:
Croce cristiana di ferro collocata sul culmine dell’edicola.

Altro

Osservazioni personali:
Ringrazio vivamente in Sig. Alfio, marito della proprietaria del terreno su cui sorge l'edicola, che mi ha dato il permesso di fare questi scatti ed anche per la piacevolissima conversazione.

Coordinate Google Maps:
43.8035079, 11.3335452

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