114913 - Lapide ad Albo Bellucci, Giuseppe Scopetani ed Etrusco Benci – Grosseto

Lapide con bassorilievo dedicata alla memoria  dei non sopravvissuti antifascisti grossetani Albo Bellucci, Beppino Scopetani, internati a Mauthausen, e di Etrusco Benci, partigiano tra le fila dei Resistenti in Francia e Belgio, catturato e fucilato dai Tedeschi a Bruxelles il 12/06/1943. E’ affissa nel palazzo comunale di Grosseto.

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Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Indirizzo:
Piazza Duomo
CAP:
58100
Latitudine:
42.76013346998795
Longitudine:
11.113622763194599

Informazioni

Luogo di collocazione:
Atrio del Palazzo Comunale
Data di collocazione:
27/01/2008
Materiali (Generico):
Marmo
Materiali (Dettaglio):
Bassorilievo in marmo, staffe in metallo
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Amministrazione Comunale
Notizie e contestualizzazione storica:
Per Albo Bellucci e Giuseppe ( Beppino) Scopetani:
tratto da Grossetocontemporanea: “ Nel settembre 1936, quando il regime fascista era ancora ben saldo al potere, su un muro di Grosseto fu affisso un foglio del giornale “L’intransigeant”, contenente scritte sovversive. Presunto colpevole di questo simbolico gesto di dissidenza fu ritenuto un giovane antifascista grossetano, Albo Bellucci -classe 1907- un impiegato di sentimenti repubblicani, entrato a far parte delle cellule comuniste cittadine nel corso del 1935. Pur essendo riuscito a dimostrare la sua estraneità al fatto grazie ad una perizia calligrafica, Bellucci fu comunque fermato e diffidato il 1° aprile del 1937 e, successivamente, perse anche il proprio lavoro di commesso presso il Tribunale di Grosseto. La dissidenza al regime si pagava non solo con la coercizione economica ma anche con la violenza. Alla fine del mese di ottobre 1937, secondo quanto raccontato dal comunista Aristeo Banchi -il noto partigiano “Ganna”- Bellucci fu “ridotto a uno straccio a furia di manganellate”.
Nel 1941, a guerra già in corso, lo stesso Banchi cercò di irrobustire la rete delle cellule del partito comunista, con l’ausilio di Enrico Orlandini e Albo Bellucci. Le riunioni si tenevano nel panificio dell’Orlandini in Via Ricasoli e nel suo molino in Via De’ Barberi. In seguito alla denuncia di un infiltrato, Bellucci fu arrestato insieme ad altri tre compagni il 4 febbraio del 1942 e condannato al confino per un anno in un paesino della Basilicata (27 marzo 1942). Prosciolto con la condizionale il 31 ottobre dello stesso anno, Bellucci non abbandonò le sue idealità antifasciste e, subito dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943, prese parte alle prime riunioni del Comitato militare provinciale presso la Villa Mazzoncini, in Via Mazzini. Quest’organismo, deputato al coordinamento della prima attività partigiana in provincia e vero precursore del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, fu smantellato dalla Guardia Nazionale Repubblicana nel rastrellamento del 26 novembre condotto presso la tenuta di Campo Spillo a Magliano, sempre di proprietà del Mazzoncini e luogo delle riunioni clandestine. Albo Bellucci fu arrestato a Paganico insieme a Ultimino Magini. Tutti i tentativi dei compagni di lotta per ottenere il suo rilascio furono destinati al fallimento. Albo Bellucci, Tullio Mazzoncini e Giuseppe Scopetani, affidati al Tribunale speciale, furono trasferiti nelle carceri di Siena e poi in quelle di Parma. All’inizio del 1944 per i tre antifascisti si aprirono le porte del lager di Mauthausen.
Solo Mazzoncini sopravvisse a quella terribile esperienza di prigionia, lavori forzati, freddo e fame. Albo Bellucci morì a Gusen, una tra le più dure dependences di Mauthausen, il 22 aprile del 1945. Per tutta la vita Mazzoncini cercò notizie e testimonianze sulla prigionia e la morte dei suoi due compagni. Negli anni ’70 riuscì a rintracciare un compagno di prigionia del Bellucci, il “professor Aronica”, testimone dei suoi ultimi giorni di vita.
Scrive infatti Mazzoncini su Nuova Toscana (n.6 del 06.03.76):
«Il caso mi separò assai presto dopo la rituale quarantena a Mauthausen, dai miei cari compagni di cella nella prigione di Siena e poi quella di Parma ove eravamo stati trasferiti a disposizione del Tribunale speciale, Albo Bellucci e Giuseppe Scopetani. Dopo quaranta giorni trascorsi nell’estenuante lager di Gross Raming, dependance di Mauthausen, l’attentato a Hitler e la conseguente cessazione dei lavori per i civili, ci riunì ancora a Mauthausen, malauguratamente loro due finirono poco dopo a Gusen, una tra le più tragiche dependences di Mauthausen. Appena giunsero gli americani mi recai al Bureau ed ebbi la tremenda notizia della loro morte. Subito mi detti da fare per avere notizie sulla loro fine a mai riuscii ad averne pur avendone chiesto ai superstiti di Gusen di ogni nazionalità. Una corrispondenza intensa dal ‘46 al ’48 circa fu ugualmente senza esito: mi ero rassegnato. Un giorno poco tempo fa, per caso seppi che in uno dei due libri di Pappalettera di parlava di Albo. Scrissi subito a Pappalettera ed ebbi l’indirizzo del caro Prof. Aronica di cui prego il giornale di pubblicare l’allegata lettera[…]».
Giuseppe Scopetani figlio di Italo e Isola Pomarani, nacque a Grosseto il 20 novembre 1904. La famiglia, che proveniva dalla provincia di Arezzo ed era assai numerosa (erano 10 fratelli), era di idee repubblicane e Giuseppe per qualche anno fu mazziniano, come il fratello Bruno, per poi entrare successivamente nel partito comunista. Frequentava a Grosseto Gastone Barbini, ed era in contatto epistolare con Raffaello Bellucci, che risiedeva a Nizza. Fu così che venne informato del ferimento di Etrusco Benci in Aragona. Racconta Barbini che, convinto che solo la guerra avrebbe provocato le caduta del fascismo, rimase assai deluso dopo la firma del trattato di Monaco.
Era stato tipografo e successivamente assicuratore nell'agenzia di Bellucci in via Vinzaglio a Grosseto. Andava dai clienti con materiale di propaganda clandestina. Nel 1943 fece parte del Comitato Militare grossetano insieme a Raffaello e Albo Bellucci, Tullio Mazzoncini e Antonio Meocci, partecipando alle riunioni prima in casa Mazzoncini a Grosseto e poi con l'intensificarsi dei bombardamenti alle riunioni nella tenuta di Capospillo a Magliano, dove, grazie alla sua esperienza di tipografo, faceva funzionare un ciclostile con cui si iniziava ad organizzare la propaganda antifascista.
Dopo la delazione del fattore di Mazzoncini venne effettuata una perquisizione a Campospillo il 26 novembre del 1943 e fu colpito da mandato di cattura. In tale occasione si determinarono le condizioni per l'arresto di Albo Bellucci e Tullio Mazzoncini, mentre Giuseppe Scopetani si trovava sfollato a Scansano presso i suoceri con la moglie e il figlio di due anni. Qui fu formalmente invitato a presentarsi in caserma dai carabinieri, cosa che avrebbe potuto consentirne la fuga, ma volle presentarsi e fu arrestato. Dopo l'arresto fu prima nel carcere di Siena, poi detenuto a Parma.
Qui un bombardamento colpì il carcere, liberando i prigionieri. Ma Scopetani e Bellucci, intenti a soccorrere i feriti furono presi dai tedeschi e destinati all'internamento. Giunse a Mauthausen tra il 24 e il 27 giugno 1944 e gli venne assegnato il primo numero di matricola 76572. Dichiarò il mestiere di tipografo. Successivamente fu trasferito a Schlier Redl Zipf poi a Gusen dove venne ucciso il 18 febbraio 1945.
Secondo il racconto di un compagno fatto negli anni successivi alla moglie e riferito dal figlio Mario, Giuseppe Scopetani, avendo finito i fiammiferi per fumare si era recato in un altro settore del campo a chiederne. Lì i nazisti avevano deciso di sterminare tutti i prigionieri e coinvolsero anche lui. Fu per uno sbaglio, per sfortuna, che venne portato a morire con gli altri

Tratto dal sito dell’ A.N.P.I., Donne e uomini della Resistenza:
Etrusco Benci era nato a Grosseto il 25 giugno 1905 e fu fucilato dai tedeschi a Bruxelles il 12 giugno 1943, di professione tipografo.
Militante repubblicano, nel 1935 Benci espatriò clandestinamente in Francia. A Nizza, dove aveva trovato lavoro, aderì al Partito comunista e, allo scoppio della guerra di Spagna, fu tra i primi ad accorrere nella vicina Repubblica, dove si arruolò nelle formazioni anarchiche del POUM per combattere i franchisti. Ferito a Saragozza, e decorato per il suo valore, Benci tornò in Francia dopo la vittoria di Franco.
Le autorità francesi lo internarono a Gurs, ma l'antifascista italiano, all'inizio della seconda guerra mondiale, riuscì ad evadere dal campo. Con l'occupazione tedesca, Benci partecipò alla lotta partigiana con i resistenti francesi. Passò poi in Belgio, per continuarvi la guerriglia contro i tedeschi. Catturato dai nazisti con altri duecento patrioti belgi, il tipografo italiano fu passato per le armi.
Una piazza è stata intitolata a Etrusco Benci a Grosseto.

Contenuti

Iscrizioni:
ALBO BELLUCCI BEPPINO SCOPETANI
MAUTHAUSEN 1945
ETRUSCO BENCI
BRUXELLES 1943
Simboli:
Allegoria della prigionia, dei lavori forzati, delle fosse comuni e della morte in un contesto spaziale e territoriale di " Inferno".
L'allusione è , in realtà, allo stesso campo di lavoro, tal quale un girone dell' inferno dell'immaginario collettivo nell’ambiente e nei fatti.

Altro

Osservazioni personali:
« Quando siamo arrivati al campo e siamo entrati, pareva un po' come entrare nella porta dell'inferno. » frase di A. Carpi de’ Resmini pittore e scultore italiano sopravvissuto al lager. Nel gennaio 1944, su delazione di un collega, fu arrestato e deportato a Mauthausen e poi a Gusen: documentò la vita e la morte nel campo di concentramento con numerosi schizzi e con un personale diario.
Il campo di concentramento di Mauthausen, lager nazista, denominato campo di concentramento di Mauthausen-Gusen dall'estate del 1940, era una fortezza in pietra eretta nel 1938 in cima a una collina sovrastante la piccola cittadina di Mauthausen, nell'allora Gau Oberdonau, ora Alta Austria, situata a circa venticinque chilometri a est di Linz.
Considerato impropriamente come semplice campo di lavoro, fu di fatto, fra tutti i campi nazisti, «il solo campo di concentramento classificato di "classe 3" (come campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro)». Vi si attuò lo sterminio soprattutto attraverso il lavoro forzato nella vicina cava di granito e la consunzione per denutrizione e stenti, pur essendo presenti anche alcune piccole camere a gas.
Il lavoro in bassorilievo di Tolomeo Faccendi riesce ad illustrare piuttosto bene tale descrizione.

Riprese fotografiche eseguite da Mauro Benedettelli coordinatore del progetto “Pietre” per la scuola Polo tecnologico Manetti-Porciatti di Grosseto e Socio della Fondazione della Sezione ANMIG di Grosseto.

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