202097 - Lapidi ai Caduti civili e partigiani delle Cinque Vie – Firenze

Queste due lapidi si trovano sulla muro di cinta di Villa Dani (conosciuta anche come Villa Ciampi) e sono dedicate a 7 partigiani e 2 civili caduti in questo luogo o nei dintorni in tre episodi distinti, avvenuti nei giorni 20 Aprile, 28 e 30 Giugno 1944. Si tratta di due lastre rettangolari di marmo sovrapposte l’una all’altra. La prima, posta nell’immediato dopoguerra per volontà dei partigiani delle Squadre di Azione Patriottica (S.A.P.) e del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, ovvero l’organismo politico della Resistenza fiorentina, reca incisi i nomi del partigiano caduto il 20 Aprile 1944 e quello dei 2 civili fucilati il 30 Giugno successivo, essendo ancora ignota l’identità dei 6 garibaldini senesi. Quando nel 1946 si sono conosciuti i nomi di quest’ultimi, fu collocata quella sottostante, inaugurata il 28 Giugno 1948. Qui i loro nominativi sono incisi in ordine alfabetico, sotto ognuno dei relativi fotoritratti in ceramica, seguiti dal luogo di provenienza. Nonostante alcuni errori ed imprecisioni, questa seconda epigrafe riporta anche la formazione partigiana di appartenenza, il giorno ed il luogo della cattura e la comune data di morte, oltre a quella di posa della lastra.
I caratteri di entrambe le epigrafi sono stati riempiti con vernice di colore nero.
Una piccola lastra rettangolare di marmo è posta accanto al cancello del viale di accesso alla Villa ed indica ai passanti che in questo luogo sono stati fucilati “nove martiri per la libertà”.

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Località Cinque Vie
Indirizzo:
Via delle Cinque Vie n. 4
CAP:
50125
Latitudine:
43.7446721
Longitudine:
11.2779214

Informazioni

Luogo di collocazione:
Esterno del muro di cinta di abitazione privata
Data di collocazione:
La seconda lapide è stata inaugurata il 28 Giugno 1948
Materiali (Generico):
Marmo, Altro
Materiali (Dettaglio):
Marmo per entrambe le lapidi, compresi i piedini di sostegno di quella inferiore. Ceramica per i fotoritratti dei 6 partigiani fucilati il 28 Giugno 1944. Vernice di colore nero a riempimento dei caratteri delle epigrafi.
Stato di conservazione:
Ottimo
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Firenze
Notizie e contestualizzazione storica:
Dumas Palmieri, 20 Aprile 1944

Lungo Via delle Cinque Vie si trova quella che gli abitanti della zona chiamano la “Cabina”, un grande edificio della Società elettrica Valdarno, che ha a disposizione anche due appartamenti per i dipendenti, ora occupato da un reparto di militi fascisti, probabilmente messi a guardia degli impianti.
Il 20 Aprile 1944 una pattuglia di partigiani inviata in una non meglio precisata missione si scontra presso la “Cabina” con questi militi. Nel conflitto a fuoco rimane colpito a morte il partigiano Dumas Palmieri, lasciato volutamente ad agonizzare per tutta la notte, mentre un altro suo compagno, sebbene ferito, riesce a salvarsi.
Palmieri verrà incluso tra i Caduti della 22a Brigata Garibaldi “Lanciotto” sebbene questa formazione si sia costituita soltanto nella seconda metà del Giugno 1944 sul Pratomagno (AR).

I 6 partigiani fucilati a Villa Dani il 28 Giugno 1944

Il pomeriggio del 28 Giugno 1944, a Firenze, un automezzo tedesco si ferma in Via Benedetto Fortini. Ne scendono sei giovani ammanettati, legati l'uno all'altro, a tre per tre, con delle funicelle. Sono scortati da quattro soldati tedeschi, forse appartenenti alla “Feldgendarmerie”, la polizia militare.
I prigionieri sono partigiani del IV Distaccamento “Carlo Pisacane” della Brigata d'assalto Garibaldi "Spartaco Lavagnini", formazione operante nel senese, catturati il 24 Giugno nei pressi di Murlo (SI).
A piedi raggiungono la piazzetta antistante la vicina Chiesa di Santa Brigida al Paradiso, luogo scelto per l'esecuzione. Ma proprio quando questa sta per essere eseguita, il sottufficiale che comanda questi soldati, inspiegabilmente, cambia idea.
Proseguendo a piedi nel loro cammino, incontrano un uomo, Ugo Tarchi, a cui chiedono dove possono fucilare questi “delinquenti”. Tarchi gli indica un cimitero che si trova un poco più avanti. E' quello della Badiuzza, all'inizio di Via delle Cinque Vie (1), noto anche come "Ceneraio". E' pratica nota giustiziare i cosiddetti "banditen" dinanzi ai cimiteri dopo aver fatto loro scavare la fossa. Mentre il graduato è intento ad aprire il cancello, qualcuno gli dice che non vi può entrare perché il luogo è ormai caduto in disuso.
Alla domanda del tedesco se nella zona c'è un altro cimitero dove poter eseguire la fucilazione, la gente nei paraggi corre a nascondersi spaventata.
Con strattoni e percosse i prigionieri sono fatti incamminare lungo Via delle Cinque Vie. Sono molto provati per le sevizie subite: uno cammina indossando soltanto un paio di calzini. Testimoni diranno che questi ragazzi se ne stavano in silenzio e che soltanto uno di essi, dinanzi ad un gruppo di persone, chiederà che sia avvisata sua madre. Purtroppo non si saprà mai chi era.
Avvisati non si sa da chi, due giovani vicini alla Resistenza, Umberto Orsini e Mauro Magini, armati delle loro pistole, si appostano in un fosso di Villa Fontefresca, in attesa dei tedeschi. Ma, probabilmente, ben valutando il rischio che la loro azione può comportare sulla popolazione del luogo, decidono di non agire.
Intanto giunti dinanzi al numero civico 4 di Via delle Cinque Vie, i soldati intimano al contadino Giuseppe Garuglieri, lì presente come guardiafili (2), di aprire il cancello che porta al viale di accesso di Villa Dani (3). Alle rimostranze del Garuglieri il comandante tedesco risponde che deve far fucilare i prigionieri, colpevoli di aver ucciso alcuni suoi commilitoni.
Sono circa le 15:30 quando i sei partigiani vengono fucilati in un campo adiacente alla Villa. Non ci sono testimoni diretti presenti agli ultimi istanti della loro vita. I giovani sono stati colpiti alla rinfusa. Le raffiche di mitra hanno attinto particolarmente la testa e la faccia, forse per impedirne l'identificazione. Sono ancora legati tra loro.
Prima di andarsene il sottufficiale germanico dice al colono di avvisare il parroco affinché provveda a trovare degli uomini per scavare la fossa ai fucilati. Minaccia di ritornare l'indomani mattina e se non troverà ciò che ha richiesto provvederà a "sistemare" anche il sacerdote.
Il parroco, don Fosco Martinelli, priore della Chiesa di Santa Margherita a Montici, una volta avvisato, prima di tutto compie la sua pietosa opera di sacerdote, somministrando l'assoluzione e l'estrema unzione a questi poveri giovani. Intanto la gente del luogo, mossa dalla curiosità, si reca sul luogo dell'esecuzione. Don Martinelli, poi, avverte le autorità competenti, che arrivano intorno alle 19:30. Il funzionario della polizia, dottor De Biase, fa scattare le fotografie dei corpi e poi ne ordina la rimozione. Indosso alle vittime non è ritrovato alcun documento.
A notte giunge il carro funebre del Comune che raccoglie i cadaveri per portarli all'obitorio di Via del Romito. Da qui saranno poi sepolti nel Cimitero comunale di Trespiano.
L'identità di questi giovani resta ignota fino al 1946 quando, per cause fortuite quanto singolari (4), vengono identificati in:

Francesco Alì (“Bixio”), nato a Cammarata (Ag) il 24 Ottobre 1918 (5).
Leopoldo Benocci (“Sussi”), nato a Montalcino (Si) il 29 Settembre 1916, residente a Murlo (6).
Pardo Carli (“Tempesta”), nato a Montalcino il 26 Giugno 1926, ivi residente, perito meccanico (7).
Quinto, detto Quintilio, Donati (“Fiamma”), nato ad Asciano (Si) il 25 Settembre 1925, residente a Montalcino, contadino (8).
Danilo Nocentini (“Sfera”) nato a Reggello (Fi) il 28 Ottobre 1921, residente a Siena (9).
Renato Vagaggini (“Nembo”), nato a Vivo d'Orcia, frazione di Castiglione d'Orcia (Si), il 22 Aprile 1924, residente a Vivo d'Orcia (10).

E' grazie alla testimonianza di Andrea Proto, un disertore calabrese che si era unito ai partigiani della “Lavagnini”, rintracciato dal padre di Pardo Carli, Antonio, che si apprendono altri particolari importanti.
Il 24 Giugno 1944 questi partigiani erano stati comandati al ritiro di viveri. Guidati da Pardo Carli erano partiti dalla loro base posta nelle macchie del Bogatto (Montalcino) per raggiungere il deposito ubicato nella casa colonica del Podere “Casabianca”, in località Poggio Cenni (nel territorio di Murlo). Qui si erano imbattuti in un gruppo di militari tedeschi che li aveva fatti prigionieri (11).
Condotti ad un Comando nei pressi di Siena, i partigiani vennero percossi brutalmente. Presa coscienza che la loro sorte era segnata, cercarono un modo per salvarsi. Il Proto aveva con se i documenti che lo identificavano come militare dell'Aeronautica: avrebbe detto ai tedeschi che era stato fatto prigioniero dai partigiani e, una volta liberato, avrebbe cercato di avvertire il Comando partigiano per liberare i compagni.
In effetti un ufficiale tedesco credette alla versione del Proto e lo separò dai prigionieri perché avrebbe dovuto testimoniare l'indomani dinanzi al Tribunale militare germanico. Impossibilitato a muoversi il giovane calabrese non poté raggiungere i partigiani e così il piano di fuga sfumò. Il giorno successivo il collegio giudicante condannò a morte i sei partigiani che, insieme al Proto, furono subito fatti salire su un camion (12).
Quando il mezzo giunse a di Firenze, probabilmente in Via B. Fortini, i sei condannati furono fatti scendere insieme ad una scorta di soldati. Il Proto proseguì con gli altri militari tedeschi fino a Milano, dove raggiunse il Comando del suo reparto di appartenenza.
Nel 1947 i corpi di cinque dei sei fucilati furono esumati dal Cimitero di Trespiano e portati nei loro paesi d'origine.

NOTE:

1. Oggi non più esistente.
2. A causa dei continui sabotaggi alle linee telefoniche operati dai partigiani, i tedeschi avevano istituito un servizio di vigilanza da far tenere alla popolazione civile ritenendola responsabile per ogni atto a loro ostile. Questo poteva portare a misure quale fucilazioni, deportazioni o misure di natura pecuniaria.
3. Conosciuta anche come Villa Ciampi, nel Podere “Colle Montici”. I nomi della Villa traggono origine dai loro proprietari, prima i Dani e, successivamente, i Ciampi.
4. Dovute alla signora Evelina Misuri, abitante in Via B. Fortini.
5. Già militare del 38° Reggimento Fanteria “Ravenna”, reduce dalla campagna di Russia, sbandatosi dopo l'8 Settembre 1943 nel Senese. I suoi resti non raggiungeranno mai la sua Sicilia, restando nel Cimitero di Trespiano, finendo probabilmente nell'Ossario comune.
6. Militare in Sanità prima dell'armistizio. Riposa nel Cimitero di Vescovado di Murlo.
7. Per un breve periodo aveva lavorato alla “Piaggio” di Pontedera (Pi). Riposa nel Cimitero di Montalcino.
8. Richiamato alle armi dalla Repubblica Sociale Italiana nel Novembre 1943, aveva disertato il proprio reparto per ben due volte. Riposa nel Cimitero di Montalcino.
9. Militare nella Regia aeronautica prima dell'armistizio.
10. Riposa nel Cimitero di Vivo d'Orcia.
11. Proto e Donati presso il casale e gli altri nel bosco vicino.
12. Proto parla di cinque partigiani catturati insieme a lui. Quindi chi poteva essere il sesto processato e poi fucilato a Villa Dani con gli atri? Il mistero resta tale. Né questa è la sede per dilungarsi ulteriormente.

La fucilazione di Arturo Labardi e Attilio Marucelli 30 Giugno 1944

A partire dai mesi di Aprile-Maggio '44, a seguito di disposizioni comunali ma, in realtà, da ordini di un Comando germanico sito a Ponte a Ema (1), è imposto agli abitanti di Via delle Cinque un servizio di vigilanza alla rete telefonica tedesca che attraversa la zona.
Tra questi vi sono Arturo Labardi (2) ed Attilio Marucelli (3) che devono controllare un tratto campestre fiancheggiante Via delle Cinque Vie, compreso tra i numeri civici 72 e 74.
Nella tarda mattinata del 30 Giugno 1944 un camion tedesco con a bordo alcuni soldati e un gruppo di civili rastrellati per essere adibiti a lavoro coatto raggiungono le Cinque Vie. Forse sono stati inviati nella zona per verificare lo stato del cavo telefonico ed infatti trovano che questo è stato tagliato.
In quel momento a sorvegliare la linea telefonica si trova un ragazzo Rolando Monciatti, chiamato poco prima da Arturo Labardi che gli ha chiesto di sostituirlo temporaneamente per poter andare a casa a pranzare.
Alcuni rastrellati, temendo per la sorte del giovane, afferrano il Monciatti scaraventandolo in un campo sottostante, permettendogli di porsi in salvo. Il ragazzo, allora, corre verso la propria casa per avvertire la madre di quanto sta accadendo e subito dopo, raggiungo insieme, l'abitazione del Labardi dove, però, trovano i tedeschi.
Intanto è stato preso anche l'altro guardiafili, Attilio Marucelli, sorpreso a starsene seduto sotto ad un albero. La moglie, Ottavina Tucci, venuta anche lei a conoscenza del sabotaggio, si porta alla sua ricerca fino a quando non lo trova in mezzo ai soldati. L'uomo tenta di rassicurarla dicendole che non c'è da preoccuparsi (4).
Dopo aver riattivato la linea, i tedeschi prendono Labardi, Marucelli e la madre del Monciatti e, a bordo di una macchina, li conducono al loro Comando di Ponte a Ema. Sono accompagnati da tre militari di cui uno, con i gradi di maresciallo, che parla italiano (5).
Nel primo pomeriggio dello stesso giorno, intorno alle ore 14:00, i tre prigionieri fanno ritorno alle Cinque Vie, sempre a bordo di una camionetta, stavolta insieme a sei soldati germanici, tra cui il maresciallo più sopra citato. Dalla sua casa viene prelevato anche il giovane Rolando Monciatti (6). Il mezzo poi prosegue e passa dinanzi all'abitazione di Arturo Labardi, dove al cancello lo sta aspettando il figlio Ernesto. Anche la moglie gli si fa incontro ma gli viene perentoriamente ordinato di allontanarsi.
Poco dopo si ode una lunga raffica di arma automatica. Presso una siepe, nel luogo dove è stato trovato tagliato il cavo telefonico, vicino alla Villa Del Vecchio, giacciono riversi sull'erba, uno accanto all'altro, i corpi del Marucelli e del Labardi. Sono stati fucilati alle spalle dal maresciallo che, dopo avergli ordinato di portarsi verso il luogo del sabotaggio, gli ha scaricato addosso un intero caricatore di mitra, incurante della presenza di Monciatti e della mamma.
Labardi e Marucelli sono stati puniti con la morte perché ritenuti responsabili di non aver adempiuto al loro dovere di guardiafili, permettendo l'azione di sabotaggio: il cavo è stato tagliato nel punto in cui finiva la sorveglianza del primo e incominciava quella del secondo.
La raffica è udita anche dai familiari del Labardi che comprendono che qualcosa di tragico è avvenuto. Solo quando l'auto tedesca se ne è andata, Ernesto Labardi accorre sul luogo e qui ha modo di vedere quale terribile sorte è toccata all'incolpevole genitore e all'altrettanto incolpevole compagno di sventura.
Dopo l'esecuzione il sottufficiale intima a Sarino Vitali, abitante nella casa colonica adiacente Villa del Vecchio (7), anche lui testimone dell'esecuzione, di recarsi in Comune a chiedere il carro funebre per il trasporto dei "due delinquenti".
I cadaveri vengono rimossi solo in serata, alle 18:00 circa, e poi sepolti nel Cimitero di San Felice a Ema (8). I due guardafili fucilati saranno sostituiti per una decina di giorni dai fratelli Ernesto e Giulio Labardi, figli di Arturo, fino al 10 Luglio successivo.
Il corpo di Attilio Marucelli, una volta riesumato, è ora tumulato nel Sacrario dei Caduti partigiani del Cimitero della Misericordia di Rifredi, a Firenze, mentre i resti di Arturo Labardi sono rimasti in quello di San Felice a Ema.
Un figlio del Labardi, Gino, nato nel 1916, sergente della Divisione bersaglieri “Italia” della Repubblica Sociale Italiana, sarà fucilato dai propri compagni il 15 Marzo 1945 presso il Cimitero di Camporgiano (Lu) insieme al commilitone Foscaro Ciampi, entrambi con l'accusa di diserzione. L'altro figlio, Giulio, sarà catturato dai tedeschi e deportato in Germania da dove rientrerà a guerra finita.
Gli autori del sabotaggio resteranno ignoti, mentre la responsabilità di questa esecuzione, secondo le indagini che furono fatte nel dopoguerra dai carabinieri, potrebbe attribuirsi a militari di una Divisione da campo della Luftwaffe, l'Arma aerea tedesca.

NOTE:

1. Non è certo dove si trovasse esattamente questo Comando. Don Fosco Martinelli, nella citata lettera al cardinale Elia Dalla Costa, scriverà di un Comando tedesco a Grassina.
2. Nato al Galluzzo (Fi) il 23 Settembre 1883, contadino, coniugato con Rosa Azzurrini, padre di Gino, Ernesto e Giulio.
3. Nato a Rignano sull'Arno (Fi) il 27 Settembre 1896, bracciante agricolo, coniugato con Ottavina Tucci, senza figli, residente al Casone (Via delle Cinque Vie).
4. Anche uno dei figli del Labardi, Ernesto, si porta alla ricerca del padre. Quando ritorna alla propria abitazione vede un'auto tedesca e dei soldati che chiedono del padre. La madre, Rosa Azzurrini, gli dice che il marito è ancora sul luogo del sabotaggio ed allora i soldati se ne vanno.
5. Pare con cadenza fiorentina.
6. Il ragazzo, terrorizzato, non vuole uscire di casa fino a quando la madre non riesce a convincerlo che non gli sarà fatto niente di male.
7. Al numero civico 72.
8. Sempre nel territorio comunale di Firenze.

Fonti bibliografiche:

Roger Absalom ed altri - “Le stragi nazifasciste in Toscana. 2 Guida alle fonti archivistiche. Gli archivi italiani e alleati”, Carocci Editore, Roma 2004
Giulietto Betti, Claudio Biscarini “Storie nascoste 1944-1960. Aspetti misconosciuti o poco noti della Resistenza e della guerra civile in provincia di Siena”, Edizioni Effigi, Arcidosso 2013.
Maria Pagnini “Evelina. Una via crucis di 3333 passi: la storia dei fucilati di colle Montici alle porte di Firenze (28-30 Giugno 1944)”, Pagnini Editore, Firenze 2011
Preti fiorentini “Giorni di guerra 1943-1945. Lettere al Vescovo”, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1992

Contenuti

Iscrizioni:
C.T.L.N.
PER LA LIBERTA' D'ITALIA
IN QUESTI PRESSI CADDERO
ASSASSINATI DA PIOMBO NAZI-FASCISTA
ARTURO LABARDI – ATTILIO MARUCELLI – DUMAS PALMIERI
E QUI ALTRI SEI PATRIOTI RIMASTI IGNOTI
IL C.T.L.N. SICURO INTERPRETE
DEL PENSIERO E DELLA VOLONTA' DEL NOSTRO POPOLO
QUESTA LAPIDE POSE A PERENNE RICORDO
DI COLORO CHE LA VITA IMMOLARONO
PER LA LIBERAZIONE DELLA NOSTRA PATRIA
PIAN D'EMA GIUGNO 1944

IL POPOLO DI PIAN D'EMA PONE QUESTA SECONDA LAPIDE PER RENDERE
NOTI I NOMI DEI SEI PATRIOTI RIMASTI SCONOSCIUTI FINO AL 1946

ALI FRANCESCO (recte ALI')
DI AGRIGENTO

BENOCCI LEOPOLDO
DI MURLO

CARLI PARDO
DI MONTALCINO

DONATI QUINTO
DI MONTALCINO

NOCENTINI DANILO
DI SIENA

VAGAGGINI RENATO
DI CASTIGLION DOCCIA (sic!)

APPARTENEVANO ALLA BRIGATA D'ASSALTO GARIBALDI SPARTACO LAVAGNINI
CATTURATI A CAMPO LUNGO COMUNE DI MURLO DI SIENA IL 24 GIUGN.944 E QUI UCCISI IL 28 GIUG.944
28 GIUGNO 1948

Targa apposta a fianco del cancello di accesso:

LUOGO OVE FURONO FUCILATI
NOVE MARTIRI PER LA LIBERTA'
Simboli:
Informazione non reperita

Altro

Osservazioni personali:
Queste lapidi, sebbene si trovino all'interno di una proprietà privata, è possibile visitarle durante le annuali celebrazioni istituzionali quali l'anniversario degli eccidi ed il 25 Aprile.
Non avendolo potuto fare di persona, ringrazio i proprietari per avermi concesso di scattare questo fotografie.
I nomi di tutti questi Caduti, con alcuni errori, sono presenti anche in una lapide posta presso la Scuola primaria “Vittorino da Feltre” di Ponte a Ema, nel Comune di Bagno a Ripoli (Fi).

Coordinate Google Maps:
43.7446721, 11.2779214 (al cancello d'accesso); 43.745842, 11.277163 (alla lapide)

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