2718 - Lastra ai civili fucilati di Sant’Anna

Lastra commemorativa posta a ricordo di due ostaggi civili fucilati per rappresaglia sulla ringhiera del ponte sul torrente San Pietro in località Sant’Anna nel periodo della seconda guerra mondiale. Sulla lastra non sono presenti i nomi dei due ostaggi fucilati che invece compaiono sul retro della stele del monumento ai partigiani di corso Cristoforo Colombo così descritti: Cimorri Filiberto di Salina (Livorno),  Ignoto giovane ( Genova?).

STAFF PIETRE: Scheda censita anche da Istituto Comprensivo Rapallo

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Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Sant'Anna
Indirizzo:
via S'Anna
CAP:
16035
Latitudine:
44.355155052618144
Longitudine:
9.210842319435187

Informazioni

Luogo di collocazione:
Aiuola dopo il ponte sul torrente, sul lato destro della strada che dal casello autostradale di Rapallo conduce verso il centro
Data di collocazione:
Informazione non reperita
Materiali (Generico):
Marmo, Pietra, Altro
Materiali (Dettaglio):
Lastra di marmo impiantata tramite sostegni metallici su un basamento composto da pietre lavorate a spacco e disposte su tre corsi orizzontali
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Rapallo
Notizie e contestualizzazione storica:
Si riporta la ricostruzione degli eventi di quel tempo fatta dallo storico Agostino Pendola, presidente della sezione ANMIG di Rapallo, nel libro "L'eccidio del muraglione e altre storie della Resistenza rapallese, Gammarò Editore, Sestri Levante, 2009":

Una lapide posta a fianco del ponte che dal casello autostradale conduce a Rapallo ricorda “due giovani ostaggi innocenti ...con ostentato assassinio fucilati...”. Il vecchio ponte della paglia della tradizione locale, diretto erede del ponte romano lungo la strada per Bana e Recco, testimone di tante vicende locali, è stato distrutto e ricostruito a metà degli anni sessanta con l'arrivo dell'autostrada, ma l'ambientazione è cambiata di poco.
Il vecchio ponte era stretto, lasciava passare due automobili a fatica, una costruzione (abbattuta) rendeva difficile la svolta per San Pietro. La lapide era collocata sul muro di cinta del campo del Golf, dov'è rimasta fino a pochi anni fa.
Ricordo che quando, scolaro, attraversavo il ponte (quello vecchio) tutti i giorni per andare a scuola, la parola ostentato mi era misteriosa. In seguito avrei scoperto che la vicenda raccontata dalla lapide non era così semplice come sembrava, che in realtà non si era trattato di una semplice fucilazione ma di tre episodi intimamente collegati, e che le vittime non erano state due, bensì otto.
Una vicenda mai raccontata nelle cronache locali, forse perchè i morti rapallesi erano dalla parte sbagliata (fascisti), e gli altri erano di fuori, qualcuno mai identificato.
Ho cercato allora di ricostruire i fatti seguendo le testimonianze che mi sono state riportate, e quel poco che sono riuscito a trovare nei libri e negli archivi. E tuttavia, prima di iniziare a raccontare, voglio ricordare ciò che disse Maurizio Viroli a Firenze, l'11 agosto del 2004, in occasione del cinquantenario della Liberazione della città: chi è morto combattendo dalla parte sbagliata, chi ha combattuto dalla parte di un regime che saputo perpetrare le più ripugnanti violazioni della dignità dell’uomo, consapevole o inconsapevole che fosse, merita pietà; ma la commemorazione spetta solo a chi ha dato la vita perché noi fossimo liberi.
Iniziamo allora a ricordare, partendo da un giorno di inizio novembre del 1944.

L'agguato
L'eco dei colpi sparati in rapida successione arrivò forte nella camera dove lavoravano la sarta e le sue allieve; non erano i soliti colpi del poligono qualche centinaia di metri verso San Massimo, erano colpi molto, molto più vicini, proprio sulla strada che dal ponte di conduceva a Santa Maria. Qualcosa di grosso e di importante era successo. La reazione della sarta fu veloce e prevedibile: “Ragazze – disse – per oggi basta lavorare; prima che arrivi gente andate tutte a casa”. Anche la giovane sartina diciannovenne che abitava a Savagna si avviò verso casa, lungo il greto del torrente prima e poi su per la rapida salita. Non sapeva che seguiva di pochi minuti il drappello partigiano che aveva appena freddato un milite delle Brigate Nere.
L'ucciso non era un fascista qualsiasi: 47 anni, Ferdinando Casassa era il comandante delle Brigate Nere di Santa Margherita Ligure. (1) Noi non sappiamo cosa lo condusse a Sant'Anna quel pomeriggio di novembre, qualcuno in seguito disse che era stato attirato in un'imboscata dai partigiani con la promessa di uno scambio di prigionieri, e che credeva di andare a un incontro con gli emissari partigiani.
Può darsi; comunque la riprova del ruolo senz'altro importante che rivestiva nel fascismo della Riviera di Levante si ha dal modo con il quale Fiamma Repubblicana, settimanale (in realtà appariva una volta al mese in un solo foglio) chiavarese ne dette la notizia nel numero del 26 novembre successivo: “Ferdinando Casassa: presente” titolò un articolo-apologo in prima pagina di spalla su tre colonne con foto, un articolo che in realtà non dava alcuna notizia oltre a quella della morte, e anche questa senza alcun dettaglio “...assassinato dai ribelli in un'imboscata a Sant'Anna di Rapallo”.
Fiamma Repubblicana sarebbe ritornata sull'argomento ancora una volta, nel numero del 18 marzo 1945, quando pubblicava la foto di tale Giuffra Giuseppe detto “Il biondo di Cassagna”, identificandolo come “uccisore di Ferdinando Cassassa”.(2)
I partigiani che avevano fatto fuoco erano senz'altro scesi dalla collina di Savagna, perchè proprio questa fu la strada che presero per il ritorno. E non a caso. Sopra Savagna si trova un pianoro, Spotà, che allora – come ora – è il più alto nucleo abitato di tutta la collina che termina nei 600 metri del Monte Caravaggio; un sentiero porta rapidamente attraverso i boschi verso il Passo del Gallo, aprendo la via della Fontanabuona. I residenti ricordano che durante la Resistenza i partigiani arrivavano fino a Spotà, e lì si fermavano ad attendere i loro emissari che da Rapallo salivano a incontrarli. Un luogo tranquillo, lontano dalle strade battute dai tedeschi e dai fascisti.
Siamo certi che presero questa strada perchè vennero visti, e il ricordo ci è stato tramandato. Un invalido di guerra, che trascorreva indisturbato il suo tempo a casa sopra la collina di San Pietro, quel pomeriggio, dopo gli spari vide un gruppetto di uomini che saliva di buon passo, ma senza correre, la salita pedonale che porta, oggi, verso il Ristorante Romina (in via Savagna); solo poche centinaia di metri oltre un contadino che raccoglieva olive vicino alla strada li vide passare. “Uomo- disse uno del gruppo – voi non avete visto niente”. Certamente l'uomo non avrebbe detto nulla, già consigliere comunale per il Partito Popolare prima dell'avvento del Fascismo, era stato nascosto a lungo per evitare olio di ricino e manganello.
Documenti recenti attribuiscono l'azione alla formazione G.L. Matteotti. Abbiamo già incontrato la formazione nel capitolo iniziale. Ricordiamo ora che a ottobre-novembre i suoi uomini realizzarono una serie di azioni fin sulla costa, tra Sori e Recco, tra Ruta e Rapallo, a Avegno.
L'8 novembre una nota del comando elencava le ultime azioni compiute, tra queste scriveva che il Distaccamento autonomo di Giuseppe, durante una ardita azione su Rapallo uccideva in pieno giorno il capo delle Guardie Nere della località e prelevava un altro membro dello stesso Corpo.(3)

La vendetta
Era tradizione che i tedeschi e i fascisti dopo un attacco partigiano, se avevano riportato vittime, uccidessero alcuni civili, partigiani e meno, per rappresaglia. Il fatto di Sant'Anna seguì questo triste e noto copione. Lo stesso giorno, o forse il giorno dopo, dell'uccisione di Casassa le Brigate Nere di Rapallo condussero sul ponte due giovani, da sacrificare per vendetta dell'attacco subito. Si trattava di due giovani che erano stati prelevati in carcere a Chiavari, e la cui unica colpa probabilmente era l'essere renitenti. Questo almeno stando alle voci che circolavano a Rapallo (4); che non erano partigiani è peraltro evidente dal testo della lapide che parla di “due giovani ostaggi innocenti vittime”. Ancora un anno dopo la “Voce del Popolo”, giornale rapallese, scriveva che l'unica cosa che “i compagni di cella nella prigione di Chiavari hanno potuto conoscere è stato il luogo di nascita, e cioè il più giovane, di circa vent'anni era di Sampierdarena, l'altro meridionale”. Entrambi tuttavia avevano al collo una medaglietta della Madonna della Guardia.(5) Solo molto tempo dopo i fatti uno dei due venne identificato e dopo la guerra la famiglia venne da Livorno a prenderne i resti; l'altro è restato per sempre senza nome.
Tuttavia la fucilazione di questi due poveretti alla ringhiera del ponte non fu affatto semplice. Testimonianze raccolte in seguito parlano di una rivolta del plotone d'esecuzione verso il suo comandante. Si racconta che i ragazzi della Brigata Nera, tutti di Rapallo e di un'età molto giovane, 17-18 anni, si ribellarono al loro comandante dicendo che proprio non avevano intenzione di ammazzare nessuno. Al che quest'ultimo, di poco maggiore di loro, di accusò di essere vili e codardi, e con una raffica di mitra pose fine alla via degli ostaggi (6). I loro corpi vennero lasciati per qualche tempo sul ponte a monito per la popolazione; un medico che abitava nelle vicinanze transitando in bicicletta si fermò e, avvicinatosi, osservò attentamente le ferite. Probabilmente voleva rendersi conto se la morte era stata rapida.
Ricordiamo per inciso cos'erano le Brigate Nere. Il Corpo Ausiliario della Brigate Nere era stato costituito con Decreto (il n. 446 del 30 giugno 1944) con il compito di militarizzare gli iscritti del Partito Fascista Repubblicano. Vi dovevano aderire tutti gli iscritti tra i 18 e i 60 anni che già non facevano parte della Forze Armate, aveva compiti di ausilio nella lotta antipartigiana. Non aveva, in teoria, compiti di polizia e non poteva arrestare, restando questi compiti demandati alla polizia. In realtà studi recenti riportano innumerevoli casi di violenze, di arresti e di uccisioni perpetrati non solo sui partigiani, ma anche su semplici cittadini, specialmente nelle campagne. (7) In pratica le Brigate Nere erano, nel panorama della Repubblica Sociale, uno degli innumerevoli corpi militari che operavano come milizia territoriale (8).

Il 25 aprile
Ma le vicende della guerra proseguivano inesorabili, e anche a Rapallo il 25 aprile arrivò la Liberazione. A Rapallo il 23 aprile arrivarono i partigiani della Divisione Matteotti, Brigata Borrotzu, per l’episodio che terminò nella fucilazione di sei partigiani.(9) In seguito arrivarono anche gli uomini della Divisione Coduri, Brigata Longhi, una formazione garibaldina che aveva combattuto soprattutto nell'entroterra tra Chiavari e Sestri Levante. Dopo i combattimenti di Chiavari, l'arrivo a Rapallo fu tranquillo; nelle sue memorie Paolo Castagnino “Saetta”, che della Longhi era il comandante, non riporta episodi particolari (10).
Ma il ponte di Sant'Anna avrebbe visto ancora una tragica vicenda. La mattina del 28 aprile cinque fascisti si trovarono di fronte al plotone d'esecuzione. Si trattava di un alpino della Monterosa, una formazione della Repubblica di Salò, di due guardie della polizia economica (la temuta annonaria), e di due Brigate Nere. Tra questi cinque era anche il giovane comandante del plotone d'esecuzione del 6 novembre precedente; di un altro si diceva che aveva prestato servizio nella Casa dello Studente di Genova, nota sede di torture per partigiani e patrioti, di un terzo che avesse fatto parte di un gruppo di sbandati irriducibili della Monterosa che poco prima era arrivato fino in centro città (11). Non sappiamo da chi era formato il plotone d’esecuzione, né se vi fu un processo, negli archivi della Brigata Longhi non ve ne è traccia, né se ne parla nella documentazione della GL Matteotti sui fatti di Rapallo. Si racconta che il più giovane dei cinque rifiutò il cappellano dell'Istituto Vittorino da Feltre, allora a Rapallo, che era stato chiamato per i conforti religiosi (12) . I corpi vennero poi trasportati con un carretto al cimitero per la sepoltura.



NOTE
(1) per i morti fascisti Albo dei Caduti e Dispersi, a cura della Fondazione della RSI, 2003, disponibile on-line
(2) Bertelloni Canale in Cosa importa se si muore, cit. parlano di due partigiani travestiti da fascisti come autori dell'agguato.
(3) G.Gimelli, La Resistenza in Liguria, Cronache militari e documenti, Carocci, Roma 2005.
Per la Matteotti vedi: V. Civitella, La Collina delle Lucertole, Gammarò Editori, Sestri Levante, 2008
(4) Per le notizie sui due fucilati testimonianza di Luciano Rainusso.
(5) La Voce del Popolo, n. 25 del 10 novembre 1945
(6) Per questo fatto, testimonianza di Franco Canessa.
(7) S.Antonini, La “Banda Spiotta”, De Ferrari, Genova, 2007.
(8) F.Deakin, Storia della Repubblica di Salò, Milano, 1963.
(9) Manlio Piaggio, relazione “Muraglione”, si trova presso l' Istituto Storico della Resistenza, Genova, Fondo Gimelli.
(10) P. Castagnino, Saetta, Milano, 1974.
(11) I nomi: Luigi Ferrari, 49 anni; Ercole Fedele, 39; Tomaso Lasagni, 39; Livio Barni, 19 e Alfredo Tafuri, 21.
(12) Testimonianza di Vincenzo Gubitosi.

Nessun fatto raccontato in questo capitolo è inventato, in particolare la sartina diciannovenne era la madre dell'autore, l'invalido di guerra il padre, il contadino il nonno (Angelo Roncagliolo), il medico che si ferma il Dr. Tavella, che nel 1944 era sfollato a Savagna.

Contenuti

Iscrizioni:
5 NOVEMBRE 1944
DUE GIOVANI OSTAGGI INNOCENTI VITTIME DI METODICA DELIBERATA RAPPRESAGLIA
PER INVANO FERMARE IL CORSO DELLA RESISTENZA
A LA RINGHIERA DI QUESTO PONTE CON OSTENTATO ASSASSINIO FUCILATI
LA LIBERAZIONE RICORDA
CLN - CVL
Il COMUNE DI RAPALLO
Simboli:
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Altro

Osservazioni personali:
Prima del 1997 la lastra era apposta sul muro che delimitava l'area privata del Golf club dalla strada pubblica poi sostituito da una ringhiera metallica.

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