203682 - Monumento a Don Giuseppe Morosini e ai Caduti nella Seconda Guerra Mondiale – Ferentino (FR)

Il Monumento, inaugurato il 3 aprile 1969,  è posto su un lato di Viale Marconi in area dedicata, nel contesto di giardini pubblici. La piazzola ospitante risulta rialzata dal suolo calpestabile da tre gradoni in forma triangolare, circoscritti da un muro di pietre al cui vertice è apposta la lastra commemorativa dei Caduti della seconda guerra mondiale e la colonna con il busto di Don Giuseppe Morosini.  Il complesso, semplice nella sua realizzazione, consta di pochi elementi: la lastra commemorativa con incisi i nomi dei Caduti; una lastra di appoggio che incornicia la colonna sulla quale è posto il busto bronzeo. I materiali prevalentemente impiegati per la composizione degli elementi sono il travertino e la pietra calcarea che costituisce la pavimentazione di appoggio, i muri circostanti e vari complementi per l’arredo urbano.

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Indirizzo:
Viale Guglielmo Marconi
CAP:
03013
Latitudine:
41.694251674486
Longitudine:
13.253751981752

Informazioni

Luogo di collocazione:
Lato di Viale Marconi in zona verde
Data di collocazione:
03/04/1969
Materiali (Generico):
Bronzo, Marmo, Pietra
Materiali (Dettaglio):
Le Lastre commemorative e la colonna sono realizzate in travertino; il busto è realizzato in bronzo. la pavimentazione del basamento ed altri elementi sono realizzati in ciottoli di pietra
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Ferentino
Notizie e contestualizzazione storica:
Il Monumento al Martire per la libertà Don Giuseppe Morosini venne eretto in Viale Marconi, a Ferentino (FR), luogo in cui ancor oggi si trova, nel 1969, in occasione del venticinquennale della morte avvenuta a Forte Bravetta di Roma il tre aprile 1944. Le spoglie di Morosini riposavano già, dall’undici aprile del 1954 nella cappella del Sacrario intitolato alle vittime di tutte le guerre nella Chiesa di S. Ippolito. Ferentino aveva accolto le sue spoglie mortali nella terra natia ed iniziava un processo di costante rammemorazione del suo martire destinato a durare nel tempo: si organizzava in sua memoria un premio di cultura, nel 1997 le Poste Italiane emettevano un francobollo commemorativo in suo nome, la Diocesi vi dedicava incontri di preghiera e seminari, ed il tre aprile diventava per i ferentinati, una data simbolica da onorare con eventi e manifestazioni. La figura, la vocazione e l’opera di Giuseppe Morosini presentano nitidi tratti (che accanto a quelli di Don Pietro Pappagallo ispirarono il personaggio di Don Pietro in “Roma città aperta” di Roberto Rossellini) e si stagliano con forza evocativa a stigmatizzare un periodo tragico per la storia italiana. Don Morosini ottenne il riconoscimento di Medaglia d’oro al valor militare il 15 febbraio 1945, alla memoria, in quanto cappellano partigiano combattente, con la seguente motivazione: “Sacerdote di alti sensi patriottici, svolgeva, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, opera di ardente apostolato fra i militari sbandati, attraendoli nella banda di cui era cappellano. Assolveva delicate missioni segrete, provvedendo altresì all’acquisto ed alla custodia di armi. Denunciato ed arrestato, nel corso di lunghi estenuanti interrogatori respingeva con fierezza le lusinghe e le minacce dirette a fargli rivelare i segreti della resistenza. Celebrato con calma sublime il divino sacrificio, offriva il giovane petto alla morte. Luminosa figura di soldato di Cristo e della Patria. Roma, 8 settembre 1943 -3 aprile 1944.” Soldato di Cristo e della Patria, ed anche uomo di immensa generosità di cuore, di salda ragione e profondo senso della giustizia. Era nato a Ferentino, il 19 marzo 1913, da Giuseppe e Maria De Stefanis e si era formato nel ginnasio del Seminario vescovile della sua città. Maturando una vivissima vocazione fin da giovinetto, entrò come novizio nella Congregazione della Missione fondata da San Vincenzo De Paoli, deciso a diventare prete e missionario. E fu questa la sua silloge, l’amore per l’Umanità, principio ispiratore del suo amore in Cristo, ed il disprezzo di ogni azione “contro” l’umanità, il soccorso dei deboli, la profonda commozione per il sacrificio dell’uomo e della giustizia. Tutto questo si andava plasmando nei giovani anni della sua vita quando fu scosso, dapprima dalla sospensione della libertà e della dignità dell’uomo perpetrata dal Regime fascista, e poi dagli orrori della seconda guerra mondiale. Diventò prete, ma diventò anche uomo d’azione quando la Storia gli si parò dinnanzi ed egli rispose con serenità e con garbo al suo appello. Diventò partigiano senza animosità o spirito di vendetta, ma con spirito di servizio e con il sorriso e la tenerezza che aveva saputo usare nella sua carriera di educatore dell’infanzia e della gioventù cattolica. E fu proprio nei primi anni del suo servizio sacerdotale, nominato assistente ecclesiastico presso l’Istituto tecnico navale Marcantonio Colonna, che conobbe il suo amico fraterno Marcello Bucchi, con il quale condivise più tardi l’esperienza della Resistenza e del processo del tribunale militare tedesco che lo condannò alla morte. E mantenne caldo ed ospitale il suo cuore, alto il suo spirito aperto di allegria e di passione, coltivando, pur nella miseria di anni bui, la musica, la sua musa ispiratrice dalla prima giovinezza nel cui studio perseverò anche quando il sibilo dei bombardamenti si faceva più forte. Nel novembre del 1940 diresse un concerto in favore delle missioni della sua Congregazione in Albania e qui maturò la decisione di diventare cappellano militare per restare vicino ai giovani inviati al fronte. Nel 1942 il suo desiderio fu accolto. Fu inviato a Laurana, presso il quarto reggimento d’artiglieria Carnaro della divisione Bergamo, con servizio dapprima nella zona di Fiume e poi in quella di Spalato, nelle operazioni belliche contro la Jugoslavia. Già nell’autunno di quello stesso anno fu richiamato dai superiori religiosi che gli affidarono le cure pastorali delle zone montuose colpite dalla guerra tra Abruzzo e Lazio. Dopo il bombardamento di Roma del 19 luglio 1943 fu incaricato di dirigere nella capitale una struttura di accoglienza per bambini rimasti orfani o senzatetto. Ed il ritorno a Roma nella bufera della guerra risvegliò in lui la passione per la verità e per l’umanità affranta. Con l’occupazione di Roma dopo l’Armistizio dell’otto settembre diventò davvero un uomo d’azione, impegnandosi nel soccorso dei feriti dei combattimenti di Porta San Paolo e nell’accoglienza dei militari in fuga e dei superstiti, presso gli spazi del Collegio Leoniano nel quale egli stesso risiedeva. Nel Collegio Leoniano fece trasferire e nascondere le armi recuperate e fu così che entrò in contatto con la formazione della Resistenza fondata dal tenente di complemento Fulvio Mosconi, di cui fece parte anche il generale dei carabinieri Filippo Caruso. Alla “banda Fulvi” prestò in un primo momento soltanto assistenza spirituale, ma nel perpetuarsi delle atrocità naziste si decise ad assicurare copertura ed appoggio in molte operazioni che lo videro protagonista nella costituzione di un piano di controllo capillare dei movimenti delle truppe tedesche nelle zone limitrofe alla costruzione della linea Gustav, zone che conosceva bene per esservi nato e cresciuto ed in cui poteva appoggiarsi ad una rete di familiari ed amici. L’operazione decisiva tra le tante a cui partecipò Morosini, e che lo sottopose alle attenzioni della Gestapo, fu quella che lo portò ad entrare in possesso di una copia del piano operativo dello schieramento tedesco a Cassino, consegnatagli da un ufficiale austriaco ricoverato nell’ospedale militare impiantato in un’ala del Collegio leoniano. Cadde in un tradimento ordito ai suoi danni dalla Gestapo che con l’aiuto dell’ infiltrato Dante Bruna arrivò a coglierlo in flagranza di reato, insieme al suo amico Bucchi per aver comprato e nascosto in Collegio armi dal Bruna stesso. Il suo destino di morte era così segnato: le perquisizioni al Leoniano aggravarono la sua posizione e, condotto presso il tribunale di guerra tedesco in via Lucullo fu trasferito nel carcere di Regina Coeli. Nel carcere, gli venne impedito di celebrare la messa ed iniziò a recitare il Rosario ad alta voce dalla sua cella con la partecipazione degli altri detenuti. Di questa esperienza è testimonianza quanto scrisse Italo Zingarelli: “Ha echeggiato nell'androne, sonora e ferma, la voce di Don Giuseppe Morosini, che, fra i condannati a morte in attesa dell'esecuzione, è il più popolare. Don Morosini la voce dell’Apostolo ce l’ha. Ora il padrone delle carceri è lui, che può gridare che nel primo mistero glorioso si contempla la risurrezione di Cristo e quindi intona il Lodato sempre sia il Santissimo Nome di Gesu, Giuseppe e Maria, lui, che intercala nel Rosario, all’improvviso, una frase che suona come uno squillo di tromba e una sfida: Preghiamo per la nostra cara Patria ... Ed ecco che Don Morosini torna a darci un brivido gridando: Preghiamo per coloro che soffrono e ci ricorda che non soffriamo soltanto noi di Regina Coeli . .. Sacerdote di Dio, non ha rancori; dopo il quinto mistero glorioso dice a noi con la stessa voce e con lo stesso accento: Preghiamo per quelli che ci fanno soffrire! .. . Sono rientrato nella cella tutto sconvolto”. A Regina Coeli ebbe come compagno di cella Epimenio Liberi giustiziato anch’egli alle Fosse Ardeatine. Per il figlio di Liberi che avrebbe dovuto nascere a breve scrisse una “Ninna Nanna per soprano e pianoforte” e per l’amico Bucchi una “Fantasia campestre”. Fu sottoposto in seguito a violenti interrogatori che portarono alla sentenza di condanna. All’uscita di uno di questi interrogatori Morosini incrociò Sandro Pertini che ne riporta un vivido ricordo: “Incontrai un mattino don Morosini. Usciva da un ‘interrogatorio’ delle SS. Il volto tumefatto grondava sangue. Come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà. Egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono. Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede.” E fu la fede a sorreggerlo nell’ultimo tratto del suo cammino. Il giorno della sua morte gli fu accordato il permesso di celebrare una messa e poi si avviò sereno e sorridente verso la fucilazione. Gran parte dei componenti del plotone alzarono i fucili in aria senza colpirlo e dovette giustiziarlo, infine, l’ufficiale capo con due colpi alla nuca ed il colpo di grazia. Morì da Martire della libertà come aveva sempre vissuto, si addossò gran parte delle responsabilità che venivano imputate a lui ed al suo amico Bucchi, che ebbe salva la vita e fu tradotto in una prigione tedesca. Al Cappellano del carcere che lo accompagnò nel suo ultimo giorno di vita egli disse: “Monsignore, ci vuole più coraggio per vivere che per morire”.

Contenuti

Iscrizioni:
FERENTINO AL SACERDOTE
GIUSEPPE MOROSINI
MEDAGLIA D’ORO AL V. M. MARTIRE PER LA LIBERTA’
ROMA FORTE BRAVETTA 3-4-1944
NEL XXV DEL SACRIFICIO


CADUTI NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
1940 - 1945

TENENTE LOLLI GHETTI ALBERTO MED. D’ORO V. M.
“ ANGELINI GIUSEPPE MED. D’ARGENTO V. M.
C. N. PACIOTTA SISTO MED. DI BRONZO V. M.
SERG. MAGG. MARTINI ALESSANDRO
SERGENTE SALVATORI DOMENICO
SOTTOCAPO GIANFELICE AMBROGIO
CAP. MAGG. BIANCHI PLINIO
“ CECCANI ANGELO
“ FRIONI ENRICO
PRINCIPALI MARIO
CAPORALE ANGELISANTI ANTONIO
“ BIANCHI CESARE
“ DEL VESCOVO CARLO
“ GIORGI AMBROGIO
“ SANTANDREA CESARE
SOLDATO ALONZI PIETRO
“ ARDUINI PIETRO
“ BELLOTTI AMBROGIO
“ BIANCHI GABRIELE
“ BIANCHI NIVARDO
“ BIANCHI PIETRO
“ BOCANELLI ITALO
“ CALACCI IGNAZIO
“ CARDINALI GREGORIO
“ CATRACCHIA FILIPPO
“ CELLITTI AMBROGIO
“ CELLITTI ANTONIO
“ CELLITTI ARMANDO
“ CELLITTI FERDINANDO
“ COLLALTI GIUSEPPE
“ CONSOLI GIOV. BATTISTA
“ COPPOTELLI GIUSEPPE
“ CUPPINI DOMENICO
“ CUPPINI FRANCESCO
“ CUPPINI GIOV. BATTISTA
“ DATTI ERNESTO
“ DE ANGELIS AUGUSTO
“ DELLE CHIAIE ANGELO
“ DELLE CHIAIE AUGUSTO
“ DI MARCO CELESTINO
“ DI ROCCO GIUSEPPE
Simboli:
Non sono presenti simboli.

Altro

Osservazioni personali:
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