207910 - Monumento in ricordo dell’Eccidio del Monte Tancia – Monte San Giovanni in Sabina (RI)

La pietra è collocata in un’area verde recintata sul Monte Tancia che consente, in una visione d’insieme, di cogliere gli elementi costitutivi del monumento: due grandi lastre di marmo e un cippo. L’attenzione viene immediatamente rapita da quest’ultimo che è posto al limite di una scalinata che accompagna il visitatore dall’apertura principale, protetta da un cancello, sino alla pietra centrale. In posizione rialzata, rispetto al resto,  tra alti pini e cipressi, su uno sfondo azzurro cielo, si erge il cippo, collocato su un basamento e sormontato da una croce. Su di esso è allocata una lastra incisa che invita al ricordo di quel terribile Venerdì Santo del 7 aprile del ’44, quando a perdere la vita in quel lembo di territorio del comune di Monte San Giovanni, furono soprattutto civili, in massima parte donne e bambini. Ai lati del cancello, sono posizionate due lastre, l’una a destra che riporta la data della sua collocazione, il 25-9-2010, da chi è stata collocata, ovvero l’amministrazione comunale di Monte San Giovanni in Sabina e un messaggio che invita a fermarsi, a riflettere e pregare nel rispetto di coloro che vennero lì trucidati “dalla peggior ferocia dell’uomo”. La lastra di sinistra, risulta, invece, collocata più tardi rispetto all’altra precedentemente descritta e precisamente il 7-4-2011, ad opera dell’amministrazione comunale di Monte San Giovanni in Sabina e della Comunità Montana V zona. L’iscrizione ricorda la Medaglia d’argento al valor civile, conferita il 25-9-2010 al Comune di Monte San Giovanni per l’eccidio del 7-4-2010.

Staff Pietre: pietra censita anche dal Liceo Rocci Passo Corese Rieti in occasione del Concorso Esploratori della Memoria Anno scolastico 2021 – 2022

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Osteria Tancia
Indirizzo:
Via Martiri del Tancia
CAP:
02040
Latitudine:
42.304427608492
Longitudine:
12.745650315397

Informazioni

Luogo di collocazione:
Lato strada
Data di collocazione:
Monumento eretto in tempi diversi (2010-2011)
Materiali (Generico):
Marmo, Pietra
Materiali (Dettaglio):
Le lastre allocate lateralmente alle colonne d'ingresso sono di pietra serena locale. Il cippo è costituito da blocchetti in cemento. La lastra, apposta sul cippo è in peperino ed è trattenuta da graffe metalliche.
Stato di conservazione:
Buono
Ente preposto alla conservazione:
Ente comunale
Notizie e contestualizzazione storica:
La "battaglia del venerdì santo" del 1944 - era il sette aprile - cominciò alle prime luci dell'alba. Il comando tedesco aveva schierato durante la notte, intorno al massiccio del Tancia, nella Bassa Sabina, 60 km. a nord di Roma, reparti delle divisioni "Goering" e "Sardinia" e un battaglione di "Camicie nere". I nemici cominciarono a salire sulla montagna che era ancora buio, in silenzio, guidati da spie repubblichine: speravano di cogliere nel sonno quei trecento ragazzi che dormivano sulla cima, nel Capannone di Tancia e nelle altre attestazioni di Rocco Piano, Crocette, Casale Ferri e Cerreta.

Le pattuglie partigiane che vigilavano le mulattiere e le gole si accorsero dell'insidia solo quando la cima fu scossa dalle granate dei mortai, ma attaccarono subito, cogliendo a loro volta di sorpresa il nemico impegnato nell’arrampicata. Altri compagni li raggiunsero, da ogni parte della montagna si cominciò a sparare. La brigata era numerosa, era stata ben armata e addestrata dagli ufficiali dell’Esercito italiano che la guidavano e che avevano saputo preparare ottime postazioni difensive sui fianchi del Tancia. Ne facevano parte soldati sbandati e giovani dei paesi sabini che avevano rifiutato i bandi fascisti. Si era formata subito dopo l'8 settembre; l'avevano organizzata a Poggio Mirteto i comunisti appena usciti dalla clandestinità e ufficiali dell'esercito che presidiavano la zona con i loro reparti, reduci dagli scontri avvenuti a Monterotondo il 9 e il 10 settembre, contro la Divisione Paracadutisti Student, nella battaglia per la difesa di Roma.

I partigiani Monici, Michiorri e Masci si incontrarono così con gli ufficiali D'Ercole, Toschi, Piccirilli, Giorgio Labò, che diverrà più tardi l'artificiere dei gap romani e per questo sarà fucilato nel marzo a Forte Bravetta, e Giuseppe Felici, che era stato ferito nella battaglia per Roma e che con Labò porterà a termine le prime azioni di guerriglia. Felici, ferito nuovamente nella battaglia del Tancia, sarà fatto prigioniero e passato per le armi. Tutti e due sono stati insigniti della medaglia d'oro al valor militare alla memoria. La brigata aveva assunto il doppio nome "D'Ercole-Stalin", a significare l'incontro tra gli ufficiali e i soldati dell'Esercito, guidati dal Maggiore D’Ercole, e i partigiani comunisti di Poggio Mirteto, guidati da Redento Masci. Poche settimane prima la formazione partigiana era stata rinforzata da un nutrito gruppo di partigiani superstiti dell'8° zona garibaldina di Roma, guidati da Nino Franchillucci e Luigi Forcella, che, in seguito ai rovesci subiti dalla loro formazione nei primi giorni di marzo nelle borgate di Centocelle e Torpignattara, erano stati trasferiti in montagna.

I ragazzi della brigata quella mattina del 7 aprile, e per tutta la giornata fino a sera, impegnarono il nemico in scontri durissimi e inflissero pesanti perdite agli assalitori. Ma il nemico era troppo forte, bene armato e ben equipaggiato, e i partigiani, stanchi, affamati, a corto di munizioni, dovettero cedere. Tentarono con successo di sfondare l'accerchiamento verso Poggio Catino, Roccantica e Casperia (che allora si chiamava Aspra): una squadra partigiana, che si era attestata sul Monte Arcucciola, una delle cime del massiccio, con la sua mitragliatrice tenne aperta la strada della ritirata agli altri compagni. Attraverso quel varco riuscì a passare anche Anna Mei, che era lì con il marito e i suoi quattro figli (il più piccolo aveva quattro anni) e che fungeva da staffetta, da assistente sociale, da infermiera e da vivandiera.

Quando il gruppo dell'Arcucciola tentò a sua volta di sganciarsi, uno dei ragazzi fu ferito. Gli altri cercarono di trasportarlo via, ma quel ritardo fu fatale e furono irrimediabilmente accerchiati. Resistettero ancora; esaurite le munizioni si difesero usando i fucili come clave. A sera furono finiti.

Bruno Bruni, morente, fu coperto con il cappotto da Libero Aspromonti, che, unico e ultimo sopravvissuto, riuscì a sfuggire - era ormai notte fonda - strisciando nella macchia verso Poggio Catino. Bruno Bruni, di 21 anni, medaglia d'oro alla memoria,è rimasto lassù, insieme a Franco, suo fratello, di tre anni più giovane, Giordano Sangallo, di 16 anni, che aveva già combattuto in Roma con i Gap Centrali e nell’8° zona garibaldina a Centocelle e Torpignattara, Nello Donini, di 18 anni, Domenico del Bufalo, di 20 anni, Giacomo Donati, di 36 anni, Alberto di Battista, di 22 anni.

I tedeschi e i fascisti presero quella cima dopo un'intera giornata di durissimi scontri: le armi dei partigiani, ben attestate e ben usate, avevano falciato lungo le pendici del Tancia centinaia di nemici. Il conto non gli tornava, e così, tanto per pareggiarlo, quel conto, la mattina del giorno successivo, all'alba, i soldati della Wermacht, da quei "volenterosi carnefici di Hitler" che erano, bruciarono le casupole sparse sulla montagna e massacrarono tutti i civili che trovarono sul massiccio: otto donne dai 19 ai 66 anni; quattro vecchi dai 70 ai 78 anni e sette bambini dai 2 agli 11 anni.

Sul Tancia niente rimase vivo: anche gli animali che non poterono essere asportati ebbero la stessa sorte dei bambini, delle donne, dei vecchi, dei sei partigiani dell'Arcucciola. A maggior gloria di Hittler e di Mussolini.

Il rastrellamento continuò. Il nemico, scovati altri partigiani feriti nelle macchie e per le strade lungo le pendici della montagna, li finirono sul posto o li trascinarono a Rieti e li fucilarono: tra questi Giuseppe Felici e uno studente milanese di quindici anni, Giannantonio Pellegrini Gislaghi, che qualche settimana prima era fuggito di casa per andare con i partigiani.

Intanto a Poggio Mirteto tedeschi e fascisti rastrellavano spietatamente la cittadina. Le case dei partigiani individuati dalle spie furono date alle fiamme. Trenta poggiani, tra cui il "podestà" repubblichino Giuseppe De Vito, che, pur avendo accettato quell'incarico, si era sempre rifiutato di fare il delatore, furono anche loro portati a Rieti. Il "podestà" De Vito fu torturato dai suoi "camerati", ma non gli strapparono un nome. Fu fucilato la mattina di Pasqua, alle Fosse Reatine, insieme ai partigiani della sua città catturati sul Tancia. Solo alcuni riuscirono a fuggire corrompendo i loro aguzzini.

Ma il nemico non si sentì ancora appagato e ordinò che quei poveri corpi che erano rimasti sul monte non fossero sotterrati, pena la morte. Dovevano restare esposti ai corvi e alle intemperie, dovevano disfarsi all'aria, non trovare pace in una tomba.

È’ a questo punto che parte la straordinaria iniziativa del Vescovo di Rieti, S.E. Benigno Luciano Migliorini, che non si nascose nel silenzio ma denunciò pubblicamente e con coraggiosa fermezza l’infamia dei nazisti, i quali non osarono violare la sacralità della sua funzione. Poggio Mirteto non si fece pacificare, e i suoi partigiani, insieme a quelli dei paesi vicini, continuarono la lotta. E così la città fu punita ancora.

Il 10 giugno - gli Alleati erano ormai alle porte - una motocarrozzetta tedesca passò per le strade deserte annunciando la ritirata dell’esercito germanico e invitando la popolazione a prendersi le derrate alimentari abbandonate. La gente era affamata, uscì all’aperto, sulla piazza, ma era una trappola, e fu centrata dai mortai dei nazisti armati di granate anti-uomo. Così accadrà anche negli anni ’90, al mercato di Sarajevo: le "tecniche" della pulizia etnica, benedette nel 1944 da Mons. Aljzjie Stepinac, arcivescovo di Zagabria, di recente elevato agli onori degli altari, sono sempre le stesse.

(da Patria Indipendente, aprile 2000)

Ripercorrendo i terribili nove mesi vissuti dalla Provincia di Rieti, dalla proclamazione dell'Armistizio (8 settembre 1943) fino al periodo dell'occupazione tedesca (12 giugno 1944), ci si trova di fronte a fatti di una indiscutibile drammaticità, di violenze e di paura, unite ad una grande confusione politica, amministrativa e militare. Quest'area è costellata da cippi, lapidi e monumenti, a ricordo di quel drammatico periodo segnato da immani tribolazioni patite dall'intera popolazione della Provincia; un gran numero di morti delle Forze Armate italiane, di civili vittime di bombardamenti e mitragliamenti, di caduti negli scontri armati fra italiani e tedeschi da una parte e "patrioti" e "ribelli", così come erano chiamati dai tedeschi, dall'altra; di vittime di cruente ed incivili rappresaglie, la maggior parte contro donne, anziani e bambini innocenti. Un periodo interminabile nel quale si colloca la triste parentesi dell' "Eccidio sul Tancia".
"(...) Il 7 (aprile 1944 N.d.R) alcuni soldati del gruppo di combattimento "Schanze" (dal nome del colonnello tedesco Comandante della divisione Brandeburgo) uccisero a San Michele Arcangelo del Tancia, una località in provincia di Rieti 18 civili: 7 bambini tra i 2 e gli 11 anni, 7 donne fra i 19 e i 66 anni, 4 uomini tra i 60 e gli 80, rei di aver dato qualcosa da mangiare ai partigiani del Monte Tancia. Si trattava sempre di "azioni punitive".
Così si esprime lo storico tedesco Gerard Schreiber nel suo libro "La vendetta tedesca, 1943-1945, Le rappresaglie naziste in Italia". Schreiber, come tutti noi, trattando quei fatti non trova alcun tipo di spiegazione sull'assassinio dei vecchi, delle donne e dei bambini, nemmeno nell'ambito della nefanda e contestata legge di rappresaglia, invocata spesso dagli occupanti nazisti.
In quel tragico Venerdì Santo del 7 aprile 1944, nel territorio del Comune di Monte San Giovanni in Sabina, un folto drappello tedesco, risalendo da Salisano i boschi del Colle Sant'Erasmo, uccisero due partigiani; prima nella frazione Castel San Pietro di Poggio Mirteto, avevano proceduto alla fucilazione di due "ribelli". Altri uomini del Colonnello Schanze, quasi al culmine del colle, in località Arcucciola, si scontrarono poi, con il nucleo dei fratelli Bruni di Roma: sette furono i partigiani uccisi, dopo un violento scontro a fuoco. Essi furono lasciati sul posto e solo dopo qualche giorno, il parroco di Bocchignano, con alcuni Carabinieri ebbe su sua insistenza, dai tedeschi, il permesso di andarli a seppellire in una fossa comune, sul luogo dello scontro. In una lettera al vescovo di Rieti il sacerdote racconta con solenne retorica e autentica commozione, citando Carducci, come abbia ricomposto e sepolto quei poveri resti “piano, adagio, per non far male” e come abbia alzato “la mano benedicente alle bare, al dolore, all’eroismo, alla Patria: Ell’è un’idea / fulgente di giustizia e di pietà: / io benedico chi per lei cadea; / io benedico chi per lei vivrà.”
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno gli uomini della Divisione Brandeburgo compirono un massacro nella chiesina di Sant'Angelo in Tancia dove donne, anziani e bambini, al mattino, erano stati rinchiusi assistendo tragicamente alla devastazione e all’incendio delle loro case e all’uccisione dei loro animali. Dopo aver scatenato l'inferno attorno a loro, i tedeschi decisero che era arrivato il momento degli abitanti di Monte San Giovanni, rinchiusi al mattino nella chiesina a cui, quindi, diedero fuoco. Le donne, i vecchi e i bambini furono trascinati in uno spiazzetto dietro la fontana e lì mitragliati. Un'azione che, cinicamente, i tedeschi onorarono, la sera stessa, decorando con Croce di Guerra, i capi dei reparti che avevano partecipato alle operazioni. Inoltre, il Colonnello Schanze consegnò nelle mani del Tenente Ilario Giorgi una lettera di encomio per la Compagnia della G. N. R. di Rieti (Guarda Nazionale Repubblicana per la difesa antipartigiana, istituita dalla Repubblica di Salò) esprimendo loro ringraziamenti e riconoscimenti. Lo stesso tenente redasse una relazione informativa per il capo della provincia e per il capo della 116° Legione che sancisce la partecipazione attiva all'impresa sottolineando l'orgoglio per il suo reparto che aveva operato da Poggio Bustone fino a Leonessa, attraverso la zona montuosa della Vallonina da qui, poi, si era trasferito a Roccantica per rastrellare il Monte Tancia.
L’operazione sul Tancia era stata, cinicamente, denominata "Osterei" (Uovo di Pasqua) ed assunse le caratteristiche di terribile strage volutamente organizzata. Proprio qui, a seguito dello sbarco degli alleati ad Anzio, iniziato il 22 gennaio, i tedeschi erano stati indotti a rafforzare il controllo sul territorio per garantirsi una più sicura ritirata a nord. Si era fatta, così, più massiccia la presenza delle SS, verso cui i partigiani avevano sferrato vere e proprie azioni militari: da attacchi a convogli e caserme fino all’occupazione di interi paesi.
Con quell'eccidio cinicamente consumato nel pomeriggio del 7 aprile, si concludeva la prima fase della "Grande Operazione di Polizia" alla quale fece seguito, la notte del Sabato Santo a Rieti la fucilazione di alcuni degli arrestati nei vari Comuni interessati dai rastrellamenti guidati dal Colonnello Schanze.

Bibliografia: A. Cipolloni, La guerra in Sabina, Rieti 2011
G. Schreiber, La vendetta tedesca-1943-1945, Le rappresaglie naziste in Italia, Oscar Mondadori, 2001

Contenuti

Iscrizioni:
Lapide di sinistra, rispetto al cancello d'ingresso:
COMUNE DI MONTE SAN GIOVANNI IN SABINA
MEDAGLIA D'ARGENTO AL VALOR CIVILE PER L'ECCIDIO DEL 7-4-1944 CONFERITA IL 25-9-2010
L'AMMINISTRAZIONE COMUNALE
LA COMUNITA' MONTANA V ZONA
7-4-2011

Lapide di destra, rispetto al cancello d'ingresso:
COMUNE DI MONTE SAN GIOVANNI IN SABINA
GIOVANE, FERMATI, RIFLETTI E PREGA
NEL RISPETTO DI COLORO CHE VENNERO QUI TRUCIDATI DALLA PEGGIORE FEROCIA DELL'UOMO
L'AMMINISTRAZIONE COMUNALE 25-9-2010

Lapide del monumento, frontale:
NEL VENERDI' SANTO DEL 1944
IL DOLCE SILENZIO DI QUESTA PLAGA MONTANA
FU INFRANTO
INSIEME ALLA VITA DI VECCHI DONNE E BAMBINI
DALLA MITRAGLIA TEUTONICA
ECO SINISTRA DELLA STRAGE
RIPERCOSSA FRA QUESTE STORICHE RUPI
CHE LA PRECOCE PRIMAVERA ITALICA
GIA' AMMANTAVA
DEI PRIMI FRAGRANDI (sic) SIMBOLI D'AMORE
DI TENEBROSA BARBARIE
ITALIANI DI TUTTI I SECOLI RICORDATE

Sul retro del monumento, due lastre riportano i nomi delle vittime:

a sinistra:
BONACASATA
ALDO ANNI 6
ARNESINA 2
ROSA 37
ANGELO 9
CAPPARELLA
GELSOMINA 37
CARLUCCI
DOMENICA 86
MEI VINCENZO 70
MEI ORAZIO
ARISTIDE 73
RATINI
FRANCESCO 76

a destra:
MEI ZEFFERINA ANNI 42
CAPPARELLA
BARBARA 55
VINCENZA 19
ERSILIO 3
VALENTINI
DINA 11
DOMENICO 6
NELLO 3
VINCENZO 78
PASQUA 55
Simboli:
Solo un simbolo religioso sulla lapide centrale

Altro

Osservazioni personali:
uesto luogo, estremamente suggestivo, costituisce la Tappa 5 del Museo diffuso della Resistenza in Sabina, progetto finanziato dalla Regione Lazio, nell’ambito dell’Avviso pubblico “Settant’anni dopo, la memoria della seconda Guerra mondiale nelle Regione Lazio” che ha visto protagonista il Comune di Poggio Mirteto in partnership con la Fondazione Nenni, l’ANPI e l’Associazione Amici del Museo.
"Il Museo diffuso è un invito a mettersi in cammino sui sentieri calpestati dai partigiani durante la Resistenza. Un tuffo nella memoria della storia dell’antifascismo in un territorio teatro di feroci rappresaglie nazifasciste; un'esperienza unica alla scoperta dello splendido scenario dei monti Sabini, da vivere lentamente, passo dopo passo, a piedi o in bici."
https://museodiffusodellaresistenzainsabina.wordpress.com/

Sono stati piantati alberi, ciascuno per ogni vittima, il cui nome è riportato su una targhetta posta sul tronco dell'albero

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