44871 - Lastra ai reduci di Gabbiano (Scarperia)

Monumento a edicola votiva in mattoni, costruito dai reduci della seconda guerra mondiale di Gabbiano, in segno di ringraziamento alla Madonna; è costituito da un basamento a pilastro, sormontato da tabernacolo con tetto a capanna, entro il quale è l’altorilievo della Madonna con Bambino, in stile robbiano, fissato alla parete intonaca e dipinta di celeste; sul basamento è apposta la lastra commemorativa con, incisi, i nomi dei reduci.

Posizione

Nazione:
Regione:
Provincia:
Comune:
Frazione:
Gabbiano
Indirizzo:
Via di Gabbiano
CAP:
50037
Latitudine:
43.999814869918104
Longitudine:
11.320316791534424

Informazioni

Luogo di collocazione:
Il tabernacolo è situato sulla strada principale che attraversa la piccola Frazione di via di Gabbiano, in prossimità della Chiesa.
Data di collocazione:
1946
Materiali (Generico):
Laterizio, Marmo, Pietra, Altro
Materiali (Dettaglio):
Basamento in laterizio a gradinata; corpo parallelepipedo in mattoni pieni e malta; lastra in marmo bianco di Carrara; rilievo
in ceramica bianca
Stato di conservazione:
Sufficiente
Ente preposto alla conservazione:
Comune di Scarperia e San Piero
Notizie e contestualizzazione storica:
La data precisa di collocazione non è rilevabile, comunque la struttura è stata realizzata quasi sicuramente nel 1946 dopo il ritorno a casa di tutti gli uomini partiti per combattere per la Patria.
Ho ritenuto opportuno riportare un'intervista effettuata a Carolina Cerbai, per poter meglio collocare nel contesto della seconda guerra mondiale la realizzazione del tabernacolo.
Carolina Cerbai, oggi una signora di 81 anni, nata nel 1935, ha assistito a un vero e proprio recesso dell’umanità: la seconda guerra mondiale. Lei vive in prima persona questa traumatica vicenda del mondo in guerra.


-------- Quanti anni avevi durante la guerra?
" Avevo 9-10 anni."
---------Avevi fratelli o sorelle ?
" Sì, due fratelli: uno del 39 di 6 anni,Carlo e uno di 4 anni, Luciano."
--------Dove vivevi a quel tempo?
" Nel comune di San Piero a Sieve, nella frazione di Gabbiano."
---------Quale era il lavoro della famiglia?
"Contadini, lavoravamo la terra a servizio del proprietario. Davamo una mano anche noi ragazzi perché uno dei miei zii e mio padre erano in guerra."

Carolina racconta:
"Quando avevo 5 anni mio padre (Gino Cerbai) fu chiamato a prestare servizio militare nell’esercito e lasciò mia mamma, noi tre figli, e i nonni anziani a casa.
Mio padre era una persona forte, non l’avevo mai visto piangere, ed è per questo che non riuscirò mai a dimenticarmi di quel giorno:
stavo tornando a casa dai campi e notai un uomo che si avvicinava in bicicletta: quando mi fu più vicino riconobbi che era mio padre che stava partendo per la guerra: mi si avvicinò, scese dalla bicicletta, e piangendo mi abbracciò così forte che non riuscì a dire niente, rimasi impietrita. Le uniche e ultime parole che mi disse prima di partire furono “Vai a casa dalla mamma”.
Questo fu l’ultimo ricordo di lui che ebbi fino al suo ritorno, dopo circa 5 anni. (So che mio padre finì prigioniero in Algeria, ma essendo una persona riservata e soprattutto per non renderci tristi cercò sempre di sviare questi argomenti: voleva solo dimenticarli). Intanto il tempo passava e noi ci arrangiavamo per quanto possibile.
La seconda guerra mondiale si avvicinava ogni giorno di più. Arrivarono i primi tedeschi e con loro iniziò il frastuono.
Mi ricordo bene le bombe che cadevano, verso San Piero e Borgo, sono cose che si dura fatica a dimenticare, ho ancora l’immagine limpida in mente.
In cielo c’era spesso un aeroplano o più. La notte la luce era bandita, se c’era una fonte di luce che testimoniava la presenza di persone vive, l’abitazione veniva bombardata. Al tempo non esistevano le persiane, ma “gli scuri”, un’intelaiatura di legno per le finestre che non faceva filtrare la luce.
A volte i tedeschi venivano per le case in cerca di cibo e allora, fra casa e casa si spargeva la voce del loro arrivo : <> <>
Erano queste le frasi che ci si scambiava tra una casa e l’altra, per non far intendere ai tedeschi che erano stati battuti in velocità. Allora si andava a nascondere nei campi i prosciutti, salami, salsicce o altro cibo prezioso.
C’erano rimaste solo due mucche e qualche maiale perché gli altri animali erano già stati presi. Un giorno, una donna, mentre eravamo in casa, passò con due tedeschi, dicendo che dovevamo portare le nostre due mucche a Bilancino. Mia madre supplicò che ce ne fosse lasciata almeno una per avere almeno del latte da dare ai suoi tre piccoli figli, ma la risposta fu quella che ci avrebbero ricompensato. Infatti, fu così: due miseri sacchetti di caramelline.

Un giorno, passarono delle persone a casa, verso l’ora di mezzogiorno per annunciare che dopo alcune ore ci avrebbero portati tutti a Medicina, verso Bologna. Mio zio, rimasto a casa per una malformazione al piede che gli mostrava un handicap nel camminare, decise, non fidandosi, di scappare a andare nel fiume chiamato Anguidola, abbastanza lontano dalla nostra abitazione. In fretta e furia liberammo gli animali (conigli e polli) e si prese quelle poche cose che avevamo necessarie al sostentamento, tra cui una pentola di brodo, ancora bollente, fatta riscaldare pochi minuti prima per pranzare. Legarono ai manici un filo di spago e lo diedero a me , in quanto ero la più grande.
Nel passare tra i campi e i viottoli, scavalcando fossette e fossati, mi scottai le gambe e finalmente giungemmo al fiume.
Il fiume era secco e noi entrammo dentro al suo letto e, dato che avevamo gli alberi sopra le nostre teste, il posto era abbastanza sicuro per il pericolo degli aerei.
Camminammo per un po’.
Poco lontano, c’erano delle case di altri contadini e nella calma più quieta un aereo si avvicinò e iniziò a mitragliare le abitazioni ripetutamente; alcune persone rimasero ferite. L’aereo poi, andandosene, si diresse verso il fiume mitragliando ancora; noi che eravamo accostati sulla sponda destra, sentimmo le pallottole fischiare sulle nostre teste e , se fossimo stati nell’altra sponda o al centro del fiume, non ci sarebbe stata via d’uscita.
Non so se l’aereo fosse stato tedesco o americano, o se il pilota si fosse accorto della nostra presenza, ma noi, con il cuor in gola, eravamo ancora vivi. Dal quel momento tutte le volte che sentivo un aereo mi nascondevo sotto un albero per proteggermi tremando come una foglia.
Passata la paura si riprese la strada per il bosco che era chiamato “Selvuccia”. Quest’ultimo era pieno di tedeschi e qui realizzai che l’aereo era americano. Vidi molte armi da fuoco ma per fortuna, passando zitti, nessuno ci fece del male. Lì vicino a quel bosco c’era una casa di contadini e noi gli chiedemmo ospitalità per qualche notte. Non avevano posto e allora andammo ad accamparci nello stalletto dei maiali. Dormivamo sulla paglia ed eravamo tre famiglie ma fortunatamente, i maiali non c’erano, i tedeschi li avevano già presi. Ci fermammo lì circa una settimana, non avevamo acqua per lavarci. Quando mio nonno tornò alla nostra vera casa per prendere del cibo, incontrò un contadino che conosceva il quale lo invitò a trasferirsi nella sua stalla, ormai anch’essa vuota.
Accettammo, eravano più larghi in condizioni igieniche migliori. Dopo due o tre notti passò il fronte. Erano cannonate in continuazione, miste a spari di fucile e suoni di aerei che planavano per sparare due colpi e risalire nel cielo.
Eravamo tutti dentro un rifugio scavato sotto terra e per tutta quella notte d’inferno stemmo svegli.
Arrivarono gli Americani, i Tedeschi si stavano ritirando. Partimmo di nuovo per andare da un parente della mamma che abitava a Faltona, frazione del comune di Borgo S.Lorenzo, pensando di essere più al sicuro.
Ma facendo ciò attraversammo tutto il fronte. Ci inoltrammo in un bosco per prendere una scorciatoia, magari più nascosta e sicura; ma ci perdemmo. Ad un certo punto decidemmo di tornare sulla strada e arrivati su questa, guardandoci le spalle, trovammo il territorio recintato con un nastro con su scritto “pericolo mine”. Per alcune ore avevamo camminato dentro quel bosco minato.

Siamo restati a Faltona fino a quando il fronte aveva ormai passato l’Appennino.
Mio padre che era partito per la guerra nel '40 rientrò a casa solo dopo 5 lunghissimi anni senza poter comunicare con noi. Mio fratello, il più piccolo, che al momento della sua partenza aveva solo un anno, non riuscì a riconoscerlo come suo padre. "
Fortunatamente tutti gli abitanti di Gabbiano partiti per la guerra sono rientrati vivi a casa, e insieme hanno voluto realizzare un tabernacolo in onore alla Madonna per la grazia ricevuta.

Contenuti

Iscrizioni:
RITORNATI TUTTI ALLE LORO CASE
I REDUCI DELLA GUERRA 1940-1945
PER RINGRAZIAMENTO
PONEVANO
COL. PUCCETTI GOFFREDO
ST.V. “ “ GILBERTO
ST. “ “ ANTONIO
PART. “ “ ALPINO
ART. BARTOLOZZI ANGIOLINO
GEN. “ “ ANTONIO
GRT. “ “ ALPINO
ART. “ “ GINO
CPL.M. CAMMELLI FRANCESCO
ART. “ “ PIO
ART. “ “ NICCOLA
CPL.M. MARGHERI GUIDO
BERS. “ “ GINO
FANTE VIGNINI ADAMO
CARAB. “ “ ARMANDO
CARAB. “ “ DUILIO
FANTE “ “ UGO
FANTE CECCHERINI GIOACCHINO
GEN. “ “ ALBERTO
CAP. “ “ ANTONIO
ART. PALADINI LUIGI
BERS. “ “ PIETRO
GEN. “ “ PAOLO
BERS. MENGONI RENATO
BERS. BINI AUGUSTO
FANTE OLMI GIOVANNI
AUT. “ “ GIUSEPPE
SERG.M. VILLANI TITO
FANTE “ “ ADOLFO
FANTE “ “ EGISTO
BERS. CERBAI GINO
ART. “ “ GUIDO
AUT. “ “ PIERO
FANTE NOFERINI MARIO
FANTE IGNESTI GIOVANNI
Simboli:
Madonna con Gesù Bambino

Altro

Osservazioni personali:
Realizzato da Chiara Casati

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